ABBADIA SS: Bibite Pizzetti, storia di una ditta nostrana
Storie
di Antonio Pacini
Una storia imprenditoriale scaturita dalla passione e dall’ingegno di una famiglia di Abbadia nel periodo post-bellico. Aranciata, gazosa, enosoda, bitter, spuma…, bibite dal gusto deciso e avvolte in etichette da un design accattivante. Abbiamo affrontato la storia con Erminio Pizzetti, figlio del responsabile
Quando e da chi è stata creata l’azienda?
L’azienda della produzione delle bibite è stata creata intorno al 1955. Già dai primi anni ’50 era aperto il negozio di scarpe, fatto nascere da zio Franco (il più grande dei tre fratelli) che nel 1947, durante il servizio militare nell’aeronautica a Bergamo, entrò in contatto con un grossista con il quale intraprese una collaborazione che nel 1950 portò all’apertura ad Abbadia del negozio. Era il periodo del boom economico, della ricostruzione del dopoguerra. Ad Abbadia i soldi non c’erano pertanto si prestavano anche al baratto. C’è chi offriva in cambio qualche lavoretto, chi qualche prodotto, le castagne etc. Nel ’56 entrarono in contatto con un produttore di sciroppi per bibite il quale, vista la situazione favorevole all’ascesa di questo tipo di mercato, gli propose di acquistare delle macchine per la produzione delle bevande. In quel periodo zio Franco era ancora maresciallo dell’aeronautica mentre invece il mio babbo Renato lavorava ancora come impiegato part-time dal notaio, mentre lo zio bruno lavorava in miniera. L’ambizione del fratello maggiore era quella di creare un’attività nella quale potessero lavorare tutti insieme e così partì questa avventura.
Si trattava di un’azienda a conduzione familiare?
Sì, tutto veniva eseguito dai tre fratelli con la sussistenza familiare. Ricordo che spesso e volentieri mi sono trovato, prima dell’arrivo dell’apposito macchinario elettrico, a mettere le etichette a mano via via che dovevano essere consegnate le bibite. Quando venivano mandati i camion a San Pellegrino o a Roma per fare il carico per la Peroni il mio babbo ritornava la sera tardi. Tra l’altro non c’erano le strade ma una volta arrivati dovevano scaricare altre bibite. In quell’occasione avveniva un raduno familiare dove tutti, anche noi piccini, contribuivamo a far scorrere le cassette sui rulli o a metterle sui carrelli. Quasi mai hanno avuto bisogno di altre persone per gestire l’attività.
Come veniva svolto il lavoro?
Il tutto era in forma artigianale, le macchine all’inizio erano tre: una serviva per imbottigliare e tappare, un’altra per lavare le bottiglie e un’altra ancora era quella dove venivano prodotti i vari sciroppi.
Quali sono stati i primi prodotti messi sul mercato?
I primi prodotti sono stati la “gazosa”, nella famosa bottiglia con all’interno una sfera di vetro che con la pressione del liquido contenuto riusciva a mantenerla tappata, quindi bastava premere con il pollice per consumare il prodotto. Poi “l’Enosoda”, conosciuta in un secondo periodo come “spuma bionda” che era la bevanda più richiesta per miscelare col vino ed era contenuta in una bottiglia marrone con il tappo in ceramica, quindi anche la “tappatura” era totalmente manuale. Man mano la collezione di prodotti si allargò con l’arrivo del “bitter”, della limonata, della cedrata, dell’aranciata bianca. Successivamente a fianco della produzione delle bibite artigianali si aggiunsero le concessioni come quella della birra Peroni, della San Pellegrino e delle acque minerali. Chiaramente di pari passo allo sviluppo del settore turistico nella zona fino a farla diventare un’azienda di una certa importanza e di consolidate capacità.
Come avveniva la distribuzione e fino a dove arrivava?
Il servizio di rifornimento veniva effettuato dal mio zio Bruno con l’Ape e col camioncino. Con l’andare del tempo veniva sempre più richiesta anche la varietà dei prodotti contenuti nelle cassette, ad esempio insieme alla limonata ci potevano essere due bitter, due aranciate e due sode etc. La distribuzione copriva per intero la zona dell’Amiata, mentre le località più lontane erano posti come Chianciano o Radicofani, la Val d’Orcia e Acquapendente, anche se i rifornimenti erano più frequenti nella nostra zona dove c’erano bar, privati, ristoranti ed una importante affluenza turistica che si stava consolidando in quegli anni.
A chi era affidato il design delle etichette?
Il design è sempre stata una cosa di cui si è occupato il mio babbo che c’aveva delle doti di pittore e di grafico del tempo, infatti come secondo lavoro disegnava le insegne per i teloni, per i camion e per le varie attività. Oltre a disegnare le etichette si occupava anche di quello dei gadget promozionali.
Qual era il fatturato dell’azienda?
Il fatturato non te lo so dire però riuscivamo a viverci.
Perché avete deciso di chiudere l’azienda?
Il declino c’è stato nel momento in cui questa, come altre attività che erano specifiche, sono andate in mano alla grossa distribuzione. I supermercati aumentarono di numero perciò i rifornimenti avvenivano a costi senza dubbio inferiori da parte di chi aveva a disposizione grandi sistemi produttivi. Piano piano diventò un’attività pressoché obsoleta, i tre fratelli inoltre cominciavano a invecchiare e così fu chiusa in un primo momento la parte artigianale, la quale richiedeva, tra l’altro, continui aggiornamenti sulle normative, sulle tipologie di macchinari e le tecniche di imbottigliamento perciò si sarebbe potuto continuare esclusivamente per prodotti specifici e particolari, mentre invece l’attività di distribuzione proseguì ancora qualche anno fino alla chiusura definitiva.
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Foto copertina e galleria: ditta Pizzetti
Che articolo bello! Un vero “amarcord” per le mie papille gustative, tenerezza e nostalgia per una semplicità di vita ormai dimenticata, un esempio di imprenditoria onesta e caparbia. Complimenti Antonio P.! Complimenti alla famiglia Pizzetti.
Grazie mille Lucia.
Bello bello….sono rimasto incantato da questo articolo che mi ha fatto rivivere ricordi di un Abbadia che non c’è più. Grazie Antonio
Ehhhhh…avevano il negozio delle scarpe e la bottega delle bibite…i fratelli Pizzetti…libero Francesco Renato Bruno