Venerdì Santo fra devozione e preghiera (ma Abbadia perde il suo Gesù morto)
di Lucia Romani
Venerdì Santo, prima di sera, c’era l’odore di primavera;
Venerdì Santo, le chiese aperte mostrano in viola che Cristo è morto;
Venerdì Santo, piene d’incenso sono le vecchie strade del centro
o forse è polvere che in primavera sembra bruciare come la cera.
F. Guccini, Venerdì Santo, 1967
Senza che nemmeno ce ne accorgessimo, siamo arrivati a Pasqua. Natale sembra essere stato solo ieri, eppure ci siamo. Forse perché Natale è più chiassoso, pare non finire mai. Si annunzia già a settembre con tutto il suo corredo di pubblicità e di consumismo e si inoltra fino all’Epifania. Pasqua invece arriva silenziosa e improvvisa, complice anche il tempo rigido. Anche senza volerlo, in questo periodo andiamo a ricercare i gesti di sempre dei quali ci rendiamo conto non poter fare a meno, perché ricevuti in eredità dalle passate generazioni. Ci parrebbe diversamente quasi di fare un torto ai nostri genitori o ai nostri nonni che ci accompagnavano in Chiesa, la Domenica delle Palme, con il ramo d’ulivo infiocchettato.
E allora accade che in questa Domenica, anche quelli che in altre ricorrenze appaiono piuttosto indifferenti, al ramoscello d’ulivo benedetto non sanno proprio rinunciare, come non sanno rinunciare all’uovo benedetto per la colazione di Pasqua ancora in uso in molte famiglie, o ancora al “giro delle sette Chiese” la sera dei Sepolcri ed alla Processione del Venerdì Santo, vissuta anche solo da spettatori, ai bordi dei “chiassi”, con la scusa di accompagnare il figlioletto o il nipotino con il lanternino acceso.
La Processione scorrerà anche quest’anno, come sempre, pervasa da tutto il suo pathos, nella penombra dei “chiassi”. Purtroppo questo sarà l’ultimo anno che la popolazione vedrà passare in Processione la statua del Gesù Morto, oggetto di tanta devozione da parte dei Badenghi. La famiglia proprietaria della statua ha intenzione di portarla via e del resto lo può fare e lo farà, dato che si tratta di una sua proprietà privata, da sempre conservata nella Cappellina di famiglia e concessa per la Processione del Venerdì Santo.
Venuto a conoscenza di questa intenzione, il Parroco della Chiesa di Santa Croce, Don Francesco Monachini, ha chiesto alla famiglia di lasciare la statua del Gesù Morto alla devozione dei Badenghi, impegnandosi a trovare per essa un collocamento decoroso. Niente da fare. Sono state fatte, dalla famiglia proprietaria, proposte alternative che non prendono assolutamente in considerazione la possibilità di continuare a tenere il “Gesù Morto” ad Abbadia.
Un’altra fetta della nostra storia in questo modo se ne andrà ed Abbadia si confermerà ancor di più territorio da depauperare, almeno fino a quando i Badenghi non prenderanno coscienza del fatto che il proprio futuro è in parte scritto nel proprio passato, che è da ricordare, conservare e valorizzare, attraverso le tradizioni e le consuetudini di sempre, quelle che danno certezze e radici.
Articoli correlati: Don Francesco e la nuova vita di S. Croce - Castel di Badia, antropologia di un popolo ribelle - Natale in casa Pacconi - Oh Maria bella bella - Ci scrive (dal passato) il Sacerdote Umberto Buoni - L’angolo del Vaticanista
Foto: jc