Un ricordo di Don Roberto a un anno dalla scomparsa; la sua omelia per il nuovo millennio

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don Roberto

—P—

di Giovanni Fabbrini

“Tutti siano invitati a gioire della nostra gioia”

Abbadia San Salvatore – Trascorso ormai un anno dalla scomparsa di Don Roberto Corvini, mi pare lecito ricordarlo, sia pure con meno precisione di altri, a spezzi e bocconi. Se con i giovani non ebbe fortuna in veste di professore  all’Avogadro, meglio andò con i bambini e i ragazzi delle medie: personaggio autorevole per eccellenza, bisognava passare da lui per l’iscrizione al catechismo nella parrocchia di Convento e ricordo anche come ispezionava e insegnava i canti durante le prime comunioni. Per i giovani di Abbadia fu un punto di riferimento.

Dopo averlo visto mentre leggeva le prediche da un foglietto risalimmo all’idea di impossessarsi dei testi delle sue omelie. Fu un’impresa simpatica. Tra tutte le omelie, la più degna di essere rievoca a mio parere è quella del Natale del 1999. Un’omelia dal sapore universalista, pronunciata in un’Abbadia piena di romani, a non molti chilometri dalla capitale assoluta della cristianità. Un discorso che unì erudizione storico–religiosa, enfasi e visione contemplativa del mondo.

L’omelia,

di Don Roberto Corvini

“Il più grande avvenimento che si sia compiuto nel mondo, l’avvenimento che domina la storia del genere umano, è certamente l’Incarnazione del Figlio di Dio! In questa notte santa ne celebriamo il Natale. Il Natale di Gesù ebbe luogo proprio nell’apice della storia e della cultura greca e romana, in una provincia dell’Impero Romano, la Giudea, ben nota per essere la patria del grande re Davide. Si verificava così quella notte l’avvenimento per il quale era sorto il popolo ebraico e il compimento di tante profezie a opera dello Spirito Santo.

Che quel Natale abbia avuto una portata immensa, unica nel corso della storia, è un dato di fatto innegabile. Di lì ha inizio il computo degli anni più diffuso del mondo, di lì ha preso le mosse una nuova civiltà, la più estesa, la più avanzata, che ha influenzato tutte le nostre tradizioni. Oggi dopo venti secoli possiamo dire che la maggior parte dell’umanità festeggia questo evento. In questa notte santa ci sentiamo tutti ricolmi di gioia per aver raggiunto un grande traguardo: in questo momento nella basilica di San Pietro a Roma si sta celebrando il rito di apertura del grande Giubileo del Duemila. Il sommo Pontefice, con lo sguardo fisso al mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, si appresta a varcare la soglia del millennio passando per la porta santa, mentre vengono diffuse in tutto il mondo le parole del rito.

Venti secoli sono trascorsi da quel giorno beato, perciò la Chiesa, memore e grata, celebra il bimillenario della nascita di Cristo, suo sposo, con un anno giubilare. Un anno accetto al Signore, anno di misericordia e di grazia. Anno di riconciliazione e di perdono, di salvezza e di pace. Celebriamo quindi il natale del Signore, esordio della nostra Redenzione terrena. Celebriamo l’inizio del grande Giubileo; rallegriamo tutti e rendiamo lode e gloria al Signore. In questo rito così solenne si sentirà di nuovo tra tanti suoni il suono di tanti corni come lo Jabel, col quale si inaugurava presso il popolo di Israele, ogni cinquant’anni, l’anno di grazia del Signore, ossia l’anno del riposo, della remissione dei debiti, dei peccati; l’anno della liberazione degli schiavi, mentre il Pontefice passa per la porta santa portando il Vangelo per mostrarlo alla Chiesa e al mondo come fonte di vita e di speranza per il III millennio che viene.

Il passaggio per la porte evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia. Gesù ha detto “io sono la porta” per indicare che nessuno può avere accesso al Padre se non per mezzo suo, perché egli solo è il salvatore inviato dal Padre. Giustamente il salmista ci dice: “è questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti”. Il Giubileo deve essere un anno di grazia del Signore. A questo proposito la Bolla di indizione del Giubileo ci dice che la porta santa del Giubileo del Duemila deve essere simbolicamente più grande, perché vi deve passare tutta la cristianità, tutti gli uomini di buona volontà. E ci avverte che l’umanità non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i propri figli a purificarsi da errori, infedeltà, incoerenze e per di più a rafforzare l’impegno sociale, l’impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da tante lacerazioni.

Quindi il Giubileo, perché sia accetto al Padre celeste, deve essere l’anno della riconciliazione con il Padre, con sé stessi, con i fratelli, con l’universo intero. Deve essere l’anno della misericordiosa pazienza di Dio, che ancora permette alle sue creature, anche le più negligenti, di far tesoro del dono della sua bontà, che cancella e dimentica ogni comportamento infedele e ingrato dei figli verso il Padre, come avvenne nella parabola del figliol prodigo. Se vivremo così il Giubileo, giustamente il Sommo Pontefice ci dice che questo si può paragonare a una festa nuziale, che non è solo per l’anima ma per tutta l’umanità. Una festa che in primo luogo dovrebbe essere fatta a Gerusalemme nello scambiare il saluto di pace con gli Ebrei e con i Mussulmani. Una festa con tutti i seguaci delle altre religioni, con quanti sono lontani dalla fede in Dio, perché tutti siano invitati a gioire della nostra gioia. Vogliamo affidarci alla Madre Celeste, a colei che duemila anni fa offerse al mondo il vero incarnato, Colui che è la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Accogliamo la Bibbia Amiatina che fa il suo ingresso in Chiesa ora accompagnata dal canto dell’Alleluia di Handel: verrà benedetta e poi faremo una breve presentazione”.

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