Madre del Paradiso, accoglili
di Carlo Prezzolini
Alle 6 di domenica 16 febbraio un sms mi annunciava la morte di don Roberto monaco cistercense, dal 1952 nell’abbazia del Santissimo Salvatore, per me una presenza di affetto e di fiducia da sempre, uno dei padri della mia vocazione cristiana e presbiterale. Quando muore una persona cara e importante per la propria vita, si ritorna a visitare gli incontri, la vita vissuta insieme. Don Roberto mi ha accompagnato, da sempre, con tanta discrezione: da bambino e ragazzo era con l’Azione cattolica e attivo nel cinema che impropriamente chiamavamo dei “frati”, dove immancabilmente “arrivavano i nostri”, con grande eccitazione e confusione dei noi tanti bambini presenti la domenica pomeriggio e dove con 50 lire ti pagavi il biglietto e l’immancabile gazzosa con la stringa di liquirizia per succhiare.
Da studente di architettura e laureato abbiamo lavorato fianco a fianco per i concerti di musica classica nell’abbazia, per studiare, valorizzare, far conoscere San Salvatore e la sua storia: per 10 anni, dal 1975 all’85 sono stato consigliere comunale e assessore alla scuola e cultura di Abbadia e insieme a lui, parroco e priore, abbiamo promosso le iniziative per il 950° anniversario della consacrazione della nuova chiesa, voluta dal grande abate Winizo nel 1035. Conferenze storiche e di spiritualità monastica, il convegno internazionale di studi storici, mostre, pubblicazioni, la realizzazione della sala d’arte sacra con gli oggetti, alcuni dei quali unici, rimasti dell’antico patrimonio artistico e liturgico dopo la soppressione di Pietro Leopoldo della fine del 1700. Con noi c’era l’immancabile presenza, amica e operosa, di Wilhelm Kurze, uno dei massimi studiosi dei codici dell’alto e medio medioevo italiano. E intanto don Roberto proseguiva l’opera di ricomposizione dell’antico monastero, con coraggio e sapienza.
Mi è stato vicino nel mio cammino vocazionale di adulto, magari rammaricandosi un po’ perché non lo percorrevo nei suo ordine; mi ha sempre stimolato ad andare avanti nei miei studi, che ho sempre più orientato alla scoperta del senso cristiano dell’arte di San Salvatore: il culto delle reliquie, di san Marco papa, della Trinità e dello stupendo Crocifisso romanico, restaurato, come quasi tutte le opere d’arte, dietro sua sollecitudine. Don Roberto c’era sempre: se qualche volta non lo trovavo in chiesa o in monastero mi meravigliavo. Per oltre 60 anni ha camminato con la sua comunità parrocchiale, inserendosi profondamente nella sua storia e nella sua tradizione. E’ stato il protagonista principale dell’ultima fase di vita dell’abbazia, dove i monaci erano tornati nel 1939 per costituire la parrocchia nella parte nuova del paese di Abbadia, che si stava ampliando rapidamente con lo sviluppo della miniera di mercurio.
E con don Roberto si chiude l’ultima pagina della vita di San Salvatore, come monastero. Ha sofferto molto negli ultimi mesi e forse avrei potuto stargli più vicino; ma è morto sereno, accompagnato dalla sua fede stabile: a don Zelio, parroco della vicina Piancastagnaio e suo coetaneo, l’ultima volta che lo ha visto gli ha detto “Mi sa che la prossima volta ci incontreremo in Paradiso”. Poche ore dopo, mentre mi recavo a celebrare la Messa a Casa del Corto, nella valle di Piancastagnaio, un altro sms mi informava della morte di un caro amico, Luano, mio coetaneo. E i ricordi di don Roberto si sono uniti a quelli di Luano, aumentando il dolore e lo smarrimento. Alla scomparsa di un padre si univa quella di un fratello, di un caro amico. Con Luano e altri amici abbiamo condiviso l’entusiasmo dell’impegno politico per “cambiare il mondo” nel post ’68, lo stare insieme per scoprire la bellezza della natura e dell’arte: insegnava in un laboratorio dell’Istituto d’arte di Siena e da sempre dipingeva.
Era del tutto laico, a volte laicista, ma era una persona buona e onesta, di una riservatezza unica, forse superiore a quella di don Roberto. L’estate passata mi aveva chiesto di presentare una sua mostra nel palazzo comunale di Abbadia: il saluto al suo paese che è sempre stato un punto di riferimento per lui. Anche Luano ha sofferto molto, con tanta discrezione e tanto amore per la vita: una settimana prima della sua morte sono andato a trovarlo a Siena, dove condivideva la vita, da tanti anni, con Carla, e mi ha detto che sperava ancora di riprendere a dipingere. A don Roberto e a Luano ho dedicato la Messa a Casa del Corto e mi è capitato di affidarli entrambi alla Madonna: tante volte mi sono rivolto a lei, madre del paradiso, con un canto imparato recentemente in un convento di suore francescane ad Assisi, perché li accogliesse. Dopo pochi giorni è scomparsa un’altra cara amica, Diana, tenera compagna di vita di Severino, direttore di Testimonianze, la rivista fondata da padre Ernesto Balducci.
Lei è morta all’improvviso, senza preavviso, provocando un dolore ancora più crudo per Severino e per i tanti amici. E ho unito anche la “zia Diana”, come la chiamavo affettuosamente, alla preghiera a Maria perché l’accogliesse nella Casa del Padre. Forse è per la mia età, ormai più che adulta, forse è perché ho perso mamma e babbo, ma la morte di una persona a cui ho voluto bene o che ho conosciuto è per me sempre più motivo di meditazione sulla nostra fragilità, sulla mia fragilità. E questo mi conferma l’importanza prioritaria delle relazioni che sono chiamato a costruire con chi ho vicino, con gli amici, anche se mi rammarico, spesso, di non fare il possibile. E luce, confesso a volte un po’ tremula ma sempre accesa, rimane la speranza della Casa del Padre, dove il Signore ci ha preparato un posto (cfr. Giovanni 14,1-6) e dove continueremo, accolti nel cuore della Trinità, a volerci bene, in modo più spontaneo e non impedito dalle nostre povertà.
Articolo già apparso su Toscana Oggi.it
Copertina: Madonna col Bambino incoronata da Angeli, Castiglione d’Orcia (Siena) Pieve dei Santi Stefano e Degna, 1440-50
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