Letture – L’Audacia della Speranza (Il sogno americano per un mondo nuovo) di B. Obama

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“…quello che impressiona è il distacco e l’equilibrio con cui sono affrontate le questioni, si riconosce valore all’immigrazione e altrettanta all’intransigenza nella gestione delle frontiere. Si riconosce valore al welfare ma mai in chiave assistenziale; viene ribadito che ogni aiuto che lo stato dà ai cittadini non deve servire ad abituarli alla dipendenza ma ad avviarli all’emancipazione.”

La ricetta della torta era già stata stampata nel 2006; un promettente senatore dell’Illinois decide di raccontare la sua storia, le sue prospettive e le sue idee in un testo che sarebbe diventato un best seller (siamo oggi alla sesta edizione italiana per Rizzoli). Più che un programma elettorale, l’Audacia della Speranza mischia elementi biografici, punti di vista personali e valide riflessioni piuttosto obiettive, annunciando già un respiro presidenziale, sullo stato della democrazia in America.

Insomma si può considerare senza eccessi un documento programmatico di quelli che oggi possiamo chiamare i due mandati da presidente. “Sembri abbastanza simpatico, perché vuoi partecipare a qualcosa di sporco e sgradevole come la politica?” Questa domanda fatta da un ragazzino per la strada mentre Obama da giovane distribuiva volantini del Partito Democratico è all’inizio e alla base del libro: il resto si può considerare come una (lunga) risposta. Qualche cenno biografico come i racconti di razzismo subiti da un’amica della madre, il fascino che i carri armati dietro le reti e il filo spinato esercitavano sul Nostro quando li guardava davanti casa della nonna  da adolescente. Le prime distanze prese nei confronti dei collettivi giovanili di sinistra, tanto facili a riconoscere gli abusi del potere americano quanto restii a capire o ad ammettere quelli delle dittature comuniste. E poi gli anni ’80 con la mania dell’ordine conformista intrinsecamente reazionaria, che Obama non condivide anche se riconosce a Reagan il merito di aver unito una nazione sotto una leadership forte superando i limiti della politica di Carter.

Dopo la prima laurea in Scienze Politiche Obama inizia un periodo di lavoro in un’organizzazione no profit; visti i limiti professionali della situazione torna sui banchi di Harvard per la seconda volta a studiare Legge (essendo completamente a digiuno di diritto, infatti nel sistema americano la distanza tra i piani di studio delle due facoltà è notevole). Comincia a lavorare come avvocato a 35 anni ed è lì che conosce una donna che sarebbe diventata sua moglie. “Avrei finalmente iniziato a vivere” è una frase che pronuncia superati i 39 anni. Interessante da riportare un viaggio in Africa centrale dettato da una naturale curiosità di scoprire i propri luoghi di origine; viaggio che diventa in realtà nel giro di poco un’esperienza piuttosto pesante per lui e per Michelle, soprattutto per le continue visite di parenti più o meno stretti che negano qualsiasi spazio di autonomia privata. Ennesimo esempio di come molti cittadini americani di origine africana siano fortemente legati allo stile di vita moderno e individualista, tanto da poterne sopportare difficilmente altri, anche se provengono dalle loro tradizioni e dal loro “sangue”.

In generale quello che impressiona è il distacco e l’equilibrio con cui sono affrontate le questioni, si riconosce valore all’immigrazione e altrettanta all’intransigenza nella gestione delle frontiere. Si riconosce valore al welfare ma mai in chiave assistenziale; viene ribadito che ogni aiuto che lo stato dà ai cittadini non deve servire ad abituarli alla dipendenza ma ad avviarli all’emancipazione; è forte anche la denuncia del fenomeno dei bianchi delle periferie che si lamentano dei contributi governativi agli immigrati spesso solo per sentito dire. Solo un ingenuo pensa che questo alternare libertà e responsabilità, diritti e doveri, sia per ragioni di retorica: invece tutto è affrontato con il dovuto rigore. Anche il tema religioso vede un’apertura alle chiese e una forte critica a certi atteggiamenti dei progressisti. Vi è dedicato un capitolo apposito… “Quando abbandoniamo il campo del discorso religioso, quando ignoriamo il dibattito su cosa significhi essere un buon cristiano, o ebreo o musulmano, quando discutiamo di religione solo in senso negativo, per precisare come e dove non deve essere praticata, invece che in senso propositivo, considerando quanto ci insegna sui nostri doveri reciproci (…) allora altri riempiranno quel vuoto, ed è probabile che si tratterà di chi ha la visione più ristretta della fede”.

Certo è pur sempre il testo di un democratico e non si arriva a negare l’aborto o i diritti degli omosessuali per motivi religiosi; la concezione del diritto naturale tipicamente cattolica è tale per cui un governo, per quanto eletto in democrazia, non può arrivare a decidere sulla sacralità della vita. Questa prospettiva viene prima presa in considerazione e poi scansata; l’autore ammette tuttavia che uno dei momenti più difficili della sua carriera è stato l’attacco sui temi etici da parte del repubblicano Alan Keyes “Alle accuse di appoggiare uno stile di vita che la Bibbia definisce abominio (…) replicai con la classica risposta liberal, che viviamo in una società pluralista, che non volevo imporre le mie condizioni agli altri, che mi candidavo a senatore dell’Illinois e non a ministro di culto”. Come si vede un forte disimpegno nei temi etici non deve per forza coincidere con l’agnosticismo o il disinteresse religioso, Obama è infatti membro della “Trinity United Curch of Christ”, una piccola chiesa evangelica frequentata in maggioranza, ma non solo, da gente di colore. A quanto pare può esistere una sinistra moderata che non abbia nel proprio DNA la simpatia per il laicismo e che mantenga un canale aperto con le Chiese e con l’anima reale dell’occidente. Se Obama è riuscito a traghettare il paese fuori dalla crisi, sia chiaro con l’aiuto di un sistema ben rodato da chi lo ha preceduto, con l’aiuto di un partito coeso, della sua squadra di governo, di tutti i principali organi pubblici e anche delle compagnie finanziarie, è merito di uno spirito tipicamente americano fondato sulla volontà dei politici di spiegarsi di fronte a una platea di cittadini responsabili, che stimano la comprensione un valore migliore dell’obbedienza agli apparati di potere dettata dalla paura. Uno spirito realmente illuminista.

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