Letture: “Figli di Dio” di Beteta e Fernandez
di Giovanni Fabbrini
Il cattolico nel suo vivere normale si dedica principalmente alla disciplina e alla carità nella docilità alla grazia. La filiazione divina è un concetto un po’ ambizioso e parlare di deificazione ascetica significa alzare un po’ l’asticella. Chi cominciasse da questo libro essendo a digiuno di messe e confessioni si esporrebbe probabilmente a una bizzarra forma di interazione col sacro adatta a un occultista o a uno stupido.
Figli Di Dio (di Fernandez – Carvajal e Beteta, Edizioni Ares, 1998, pp. 240) pur non essendo lettura difficile richiede una buona preparazione. Più che esoterico si può definire profondo e sostanziale, il titolo d’altra parte è decisamente esplicito.
Cominciamo col dire che la religione intesa come fenomeno antropologico spesso è intrisa di elementi naturali che fondendosi con le forme esteriori del rito fanno la tradizione umana; tradizione che con gli scopi ultimi della dottrina, liberare l’uomo e farlo simile a Dio, non ha niente a che vedere e anzi rappresenta un ostacolo al riguardo.
Il clericalismo dal canto suo, inteso come atteggiamento di sottomissione sociale alla Chiesa, è nato da un feudalesimo religioso medievale; chi per ragioni di ignoranza o di povertà non sapeva da chi andarsi a raccomandare e tutto sperava dal prete, verso il quale nutriva un’apprensione come quella del vassallo per il feudatario.
E’ anche il caso di molte famiglie di oggi, che pur essendo nella totale indipendenza economica, presentano ancora un atteggiamento di sottomissione culturale scaramantica che non può che nuocere ad una crescita consapevole, volontaria e adeguata al presente.
Per chi avesse lasciato da parte un clericalismo da quattro soldi che non giova a nulla ma che tutt’oggi straordinariamente persiste, come in una recita ipocrita dei tempi antichi, e per chi avesse insistito anni di un cammino normale fondato su logiche basilari come quella del rispetto dell’autorità e della docilità alla grazia, può essere il caso di confrontarsi con dei messaggi di deificazione dell’uomo ispirati a una serie di fonti. Tra le più importanti si hanno il “Voi siete dei” del Salmo 81, il passo evangelico della trasfigurazione “Questi è il figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mc 9, 2-10) inteso come modello da imitare per l’uomo ed infine il concetto di “Ipse Cristus”, per come insegnato da San José Maria Escrivà (Amici di Dio, punto 6 – Forgia, punto 174 – E’ Gesù che passa, Omelia di Cristo Re, punti 183 e 185).
L’uomo è fatto a immagine di Dio, si può fondere con Dio come un metallo con un altro; metalli più e meno preziosi entrano in fusione quasi sempre, a differenza di quello che succede volendo fondere un metallo con materiali completamente diversi per composizione come la plastica. L’uomo può vedere se stesso nei Vangeli come peccatore, come adepto e anche come maestro, guaritore e esorcista. Il normale concetto di amicizia con Gesù diventa una fusione, una fratellanza. Le opere di Gesù una metafora per la nostra vita.
“Come sarebbe se da domani mi comportassi come Gesù Cristo?”
Questa frase è la sintesi del concetto. Per finire possiamo anche provare un paragone con l’economia, che forse a qualcuno sembrerà audace e poco canonico. Sappiamo che gli investitori capaci usano il debito come strumento per creare ricchezza, tramite la così detta leva finanziaria. Eppure questo succede anche se nell’immaginario collettivo il debito è qualcosa di negativo. Lo stesso capita ai figli di Dio che usano il dolore come occasione per stringere il legame verso il padre, perché proprio nei momenti difficili la filiazione rifiorisca e ne esca in definitiva rinvigorita.
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Copertina: Michelangelo, il Tondo Doni, Galleria degli Uffizi, 1503-1504 circa