Lazzaretti e Pio II, del perché l’Amiata merita l’UNESCO (parte II)
Abbadia News-la Postilla ha il piacere di ospitare una serie di articoli finalizzati a spiegare i motivi per cui Abbadia San Salvatore e il Monte Amiata meritano di entrare nel Patrimonio dell'Umanità. Il testo che vi apprestate a leggere conclude il primo articolo a firma A. Pacini.
«Scorrono per la montagna in grande quantità limpidissime acque sorgenti da luoghi deliziosi tali che ninfe e fauni non hanno mai trovato più belli, e queste acque formano ruscelli che rendono la terra sempre fresca e feconda e tale che nessun’altra montagna le può stare a confronto; ed io la giudico nelle delizie, nella bontà delle acque e dell’aria, non inferiore a quelle della Grecia, che gli antichi poeti divinizzarono nei loro canti. Quivi l’estate non ha luogo ed il suo posto è occupato dalla più ridente delle primavere; quivi l’uccello ha più dolce il suo canto, e il fiore più vivo il suo colore e più tenace il suo profumo.» (Papa Pio II, Commentarii, IX).
Un documento importantissimo proveniente dalla nostra terra è la postilla amiatina, ovvero un atto notarile del 1087 che rappresenta una delle più importanti testimonianze in Italia del passaggio dal latino al volgare. Testimonianza della sacralità che da sempre è stata riconosciuta all’Amiata è la nascita, nella zona di Monte Labbro, della religione Giurisdavidica fondata dal profeta David Lazzaretti che nella seconda metà dell’ottocento riuscì a riunire una comunità di povera gente animata da alti valori spirituali e sociali. In quello stesso luogo, poco distante dalla “torre giurisdavidica”, il maestro tibetano Namkhai Norbu fondò nel 1981, con l’aiuto del Dalai Lama, il Merigar West (Residenza della montagna di fuoco), uno dei centri buddisti più importanti d’Europa. Il Lama tibetano (considerato dai buddhisti un maestro reincarnato) affermò di aver scelto quel luogo “per l’energia che emana“. Fatta questa rapida e incompleta carrellata delle unicità ambientali e culturali, nonché paesaggistiche, rappresentate nel nostro territorio, possiamo dire di avere elementi a sufficienza, o forse in abbondanza, per motivare una eventuale richiesta di entrare a far parte dei siti di importanza umanitaria protetti dall’UNESCO. In ogni caso è urgente salvaguardare la montagna dai costanti attacchi alle sue risorse naturali e quindi alla nostra identità che è compagna della natura che ci circonda. Abbiamo le caratteristiche per fare dell’Amiata almeno un parco naturale, soprattutto se si interrompe l’altro tipo di “sviluppo” che gli è stato voluto dare (geotermia, ndr). Conferire una denominazione o un marchio a un luogo come il nostro significa preservarlo, aumentare prestigio e valore economico.
Al momento il grosso delle presenze di forestieri si riscontra in alcune domeniche invernali, nella stazione sciistica, oppure nei fine settimana d’estate quando i visitatori, in gran parte provenienti da zone limitrofe, arrivano per godersi l’aria fresca e fare le grigliate all’ombra di quella che è una delle faggete più vaste d’Europa: ignari e forse indifferenti a ciò che ha veramente da offrire la montagna dove camminano. Nei parchi naturali (per non parlare di quelli nazionali) e nei siti UNESCO i turisti ci vanno per motivi più nobili e al contempo convenienti per i residenti; il bacino di utenza non è limitato alle zone limitrofe, bensì nazionale. Anche lo sport praticato in un parco naturale assume un altro significato; fare trekking, pedalare in mountain-bike o sciare in un parco naturale rappresenta un valore aggiunto. Inoltre, cosa non secondaria, lo Stato destina degli importanti fondi alle aree naturali protette, soprattutto se si tratta di parchi. E’ un sogno che può concretizzarsi se, come spero e mi par di capire, sta diventando condiviso da un numero crescente di amiatini. Per troppo tempo abbiamo affidato il nostro futuro alle mani di altri, ora bisogna decidere da soli. L’Amiata si merita un dovuto riconoscimento; ha diritto a un futuro glorioso, almeno all’altezza del suo passato. Antonio Pacini
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