La Postilla vola in Europa. Sesta tappa: Berlino
—P—
di Chiara de Franceschi
Berlino è fusione. Fusione di vecchio e nuovo, fusione di ciò che è stato e non può essere cancellato e di voglia di guardare avanti e riscattarsi.
Riscatto riuscito, Berlino oggi è una città nuova, risorta dalle ceneri di quella Seconda Guerra Mondiale che l’aveva praticamente rasa al suolo. Berlino che ha grandissimi fantasmi contro cui combattere, è lì che si sono consumati alcuni degli atti più atroci del secolo scorso; dal nazismo che ha sterminato milioni di essere umani senza un pizzico di pietà, al Muro che ha costretto migliaia di persone a vivere separate dai loro cari, pagando con la morte il tentativo di ricongiungersi ad essi.
C’è la parte nuova, futurista e visionaria, costruita con tanta voglia di ricominciare per dimenticare un passato umiliante e inglorioso. Ci sono Kurfürstendamm e Friedrichstrasse, le vie dello shopping che ricordano un po’ l’inimitabile Fifht Avenue di New York. C’è Postdamer Platz con gli incredibili edifici della Panoramapunkt e il Sony Center. C’è Alexanderplatz, che ha subìto grandissime trasformazioni nel corso del tempo e oggi ospita, tra gli altri, la Torre della Televisione, da cui si può vedere tutta Berlino dall’altro, e il caratteristico “Orologio del tempo del mondo” che, girando continuamente, mostra l’ora di ogni parte del pianeta.
Ogni città ha poi il suo simbolo; nel nostro caso non può mancare la visita alla Porta di Brandeburgo, costruita nel 1791 e che ancora oggi stupisce milioni di turisti che passano di lì. Da vedere sicuramente il Reichstag, sopravvissuto a guerre, incendi, nazismo, muro, e che oggi incanta grandi e piccoli con la sua cupola di vetro. E c’è la storia. Storia che è stata, che non deve e non può essere dimenticata. Tutto a Berlino parla del Muro. Passeggi ed è strano pensare che fino a qualche anno fa, ciò che vedevi dall’altra parte non potevi raggiungerlo. Noi la avevamo proprio davanti all’albergo, quell’Est Side Gallery piena di murales davvero eccezionali; peccato solo per quelle scritte fatte a caso da turisti che vogliono lasciare la propria firma.
C’è il museo della DDR (Deutsche Demokratische Republik, la Berlino Est per capirci) che mostra cosa significasse vivere in quella che solo apparentemente era una società basata sull’uguaglianza sociale e sull’equa distribuzione della ricchezza. C’è il Checkpoint Charlie, una delle poche stazioni che permetteva di transitare da una parte all’altra. C’è il cartello storico “You are leaving the american sector”, a rimarcare quanto la separazione tra est e ovest fosse profonda. Ci sono memoriali e musei sul Muro, ci vengono ricordate stazioni fantasma, metodi ingegnosi per cercare di scavalcare. Ci vengono ricordate le tante vittime che quel muro ha fatto. Perché Berlino è così, forse pentita del suo passato o forse no. Ma che comunque non ha paura di mostrare ciò che è stato, perché tutti sappiano, perché certi errori non si ripetano. I berlinesi sono fieri, sono orgogliosi di ciò che oggi sono diventati; un popolo unito, che sta cercando e forse riuscendo a superare quelle barriere, fisiche e non, che fino a poco tempo fa li aveva costretti a vivere divisi.
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