Intervista a Sua Eccellenza Mons. Stefano Manetti: «La forza dell’evangelizzazione è la preghiera»
di Giovanni Fabbrini
Passeggiavamo per il chiostro osservando le tavole imbandite per le cresime. Dopo aver scoperto che Sua Eccellenza ci avrebbe accolti ponderavamo le domande: siamo riusciti a tirare fuori alcune idee per cominciare a conoscere il nuovo pastore delle diocesi di Montepulciano, Chiusi e Pienza. Monsignor Manetti, 55 anni, nato a Firenze, ordinato sacerdote nell’84, è vescovo da quest’anno. Inizia quindi il suo ministero episcopale proprio dalla cattedra poliziana.
Quale effetto le fa venire ad Abbadia per la prima volta da vescovo? Che impressione prova vedendo i ragazzi, i cresimandi?
I ragazzi purtroppo non li ho conosciuti, avrei voluto ma non è stato possibile. Ho avuto un’emozione per la storia del Monte Amiata, la storia delle miniere, il sacrificio di tante famiglie e di tanti uomini, di tante persone che hanno lavorato duramente per mantenere la famiglia, per ricostruire questo paese. Questa croce che c’è in cima al monte –ho trovato due croci in diocesi, quella dell’Amiata e quella di Cetona, sono le vette più alte – ci ricorda le famiglie, i lavoratori. Prima il sacrificio era quello dei lavoratori, ora è quello dei disoccupati, che non è da meno, li ho nel cuore.
Cosa possiamo fare di concreto per l’evangelizzazione delle nostre comunità?
Qui ho già visto un grande segno di evangelizzazione, una grande arma dell’evangelizzazione, che mi ha fatto piacere: la cappella per l’adorazione diurna permanente. Viene esposto il santissimo sacramento dall’alba al tramonto. Direte… cosa c’entra con l’evangelizzazione? La forza dell’evangelizzazione è la preghiera. Si attinge alla fonte diretta che è il Signore. Evangelizzare in primo luogo vuol dire non tanto diffondere la cultura cristiana, non si tratta di far conoscere il Vangelo, il testo religioso; il Vangelo non è un testo religioso. Il Vangelo porta la gioia e la gioia cristiana non è, come si pensa oggi, aver risolto i problemi e le preoccupazioni. La gioia cristiana consiste invece nell’instaurare una relazione io – tu, poter dire “Io sto con te”. Evangelizzare vuol dire far incontrare il Signore alla gente e questo è fonte di gioia.
Nel suo viaggio in terra santa Papa Francesco ha mostrato forti segni di apertura verso l’ebraismo. Ci sono dei rischi legati al dialogo interreligioso?
Il dialogo è una via di pace. Per dialogare bisogna essere se stessi, altrimenti non è più dialogo. Il dialogo con gli altri, ebrei e musulmani, è doveroso. Prima di tutto siamo tutti membri della stessa grande famiglia. Dialogo vuol dire quindi riconoscere l’essenziale che ci unisce, ma io rimango della mia fede.
Sembra che Papa Francesco abbia nascosto la croce intenzionalmente nella sua visita in Israele (allo Yad Vashem di Gerusalemme); un gesto difficile da interpretare.
Non l’ho visto. Come dice San Paolo, se c’è chi si scandalizza se mangi la carne vietata dalla Legge di Mosè, tu non la mangiare, per la carità verso tuo fratello. Questo può essere un esempio di carità. La croce è il centro della nostra identità: quando io parlo con te non ti impongo la mia identità, te la offro. Ma questo vuol dire offrirla in modo che non faccia male. Il Papa ha invitato –bellissimo questo – le tre religioni monoteiste non a discutere - questo è stato fatto tante volte – ma a pregare lo stesso Dio, il Dio di Abramo. Si chiamano appunto monoteiste. Quando si dice il Dio di Abramo, si mettono d’accordo cristiani, ebrei e musulmani, e si può pregare insieme.
Cosa si può dire sul futuro del Monastero di Abbadia San Salvatore?
(Parla Don Amedeo) – I monaci hanno lasciato l’Abbazia perché non la potevano più sostenere. C’è stata da parte della Santa Sede la soppressione del Monastero. La Sante Sede ha voluto che i monaci si concentrassero tutti nelle grandi abbazie e lasciassero le piccole case. Lasciare alla spiritualità sacerdotale la cura pastorale delle parrocchie. La congregazione dei Cistercensi non aveva più le forza per portare avanti questa comunità. Ma tutto il patrimonio ci è stato consegnato, nelle mani del vescovo e a me, come delegato, affinché io potessi gestirlo a loro nome, portando avanti la cultura e la spiritualità dei Cistercensi. Poi chissà che un giorno non torni alla congregazione. Col vescovo lo abbiamo letto come un segno della provvidenza, come si dice, si chiude una porta e si apre un portone: la comunità deve considerare che l’eredità dell’Abbazia non è dei monaci ma degli abitanti di Abbadia. Riappropriarci di quella cultura che è nostra, non perché ci sono i monaci, ma perché è rimasta nel cuore del badengo. Ricostituiremo l’associazione Compagnia San Marco. Come quella che custodì l’Abbazia dopo la soppressione di Pietro Leopoldo, per custodire tutta l’Abbazia e anche quel patrimonio spirituale… Non sappiamo poi cosa ci aspetta nel domani. Quando Sua Eminenza è stato nominato vescovo gli ho mandato in regalo la croce dell’Amiata. Così ora sta sotto la croce. Già stava sotto la croce, ma ora così stiamo insieme sotto questa croce!
(Parla Monsignor Manetti) – I monaci non ci sono più per mancanza di vocazioni. Le piccole comunità si assottigliano, cercano di chiudere le piccole per mantenere le grandi. Ecco un messaggio da lanciare sul web, c’è bisogno di nuove vocazioni!
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Hanno contribuito: antonio pacini, ilaria martini, giacomo fabbrini e jori cherubini.
Foto: ilaria martini