Hans Kelsen e la concezione analitica del diritto
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di Giovanni Fabbrini
La volontà di chi comanda è la misura di cosa sia giusto. Non c’è mai stata nella storia una tautologia tanto discussa! Il povero Hans Kelsen ha avuto critiche di ogni tipo per la sua Dottrina pura del diritto, edito la prima volta nel 1934 oggi in commercio in Italia, per Einaudi, col titolo Lineamenti di dottrina pura del diritto.
Si tratta di un testo fondamentale per capire il diritto moderno, prima di tutto perché riesce a mettere in secondo piano alcune teorie visibilmente obsolete e a renderle definitivamente tali, riuscendo così ad aprire nella giurisprudenza un solco simile a quello che la scienza si è aperta quando la chimica e la farmacia si sono distinte del tutto dall’alchimia. In questo caso il processo è duplice. Sul fronte del diritto interno si ha la distinzione definitiva del diritto come scienza dal diritto come morale. Questo è il punto che irrita i giusnaturalisti, gli idealisti, i reazionari: insomma praticamente tutti. Sul fronte del diritto internazionale si ha il superamento dello stato come oggetto di studio che ha centro in se stesso e interpreta con le proprie categorie ciò che ad esso è esterno; gli ordinamenti nazionali appaiono viziati dal solipsismo, o per lo meno lo studio di essi per come viene proposto ai futuri politici, funzionari e giudici, certamente lo è.
La scienza giuridica è analitica: osserva e descrive l’esistente; quando si propone di prescrivere qualcosa che non sia la necessaria applicazione del diritto non è scienza, ma una morale politicamente volontaria, insomma un altro mestiere. In quest’ottica il diritto interno è applicazione della legge, e la legge è applicazione della costituzione. E sempre in quest’ottica il diritto internazionale è la descrizione di una serie di fenomeni di interazione tra ordinamenti; l’approccio fuorviante al diritto pubblico è quindi quello solipsista di derivazione nazionalista. Era un approccio da superare negli anni trenta, quando il Kelsen lo faceva presente. Guardando i manuali di pubblico di oggi, o per lo meno quelli di oltre un lustro fa, non mi pare sia stato affatto superato.
Kelsen dice di aver preso dalla scolastica cattolica l’elegante e concisa logica lineare: quella per cui si afferma che la legge deve essere conforme alla costituzione, la sentenza alla legge e l’esecuzione alla sentenza. La legge si intende valida in quanto rispettata o altresì capace di esercitare punizioni universalmente legittimate. Dall’etica protestante deriverebbe invece la distinzione tra applicazione formale della sentenza e piano morale; quella cioè per cui chi viene privato, ad esempio, della libertà, perde la libertà perché lo dice la sentenza, ma non perde la dignità di essere umano, perché sarebbe un pregiudizio medievale che non ha approvato nessuno. Insomma un vero democratico, che non ha mai voluto impantanarsi nella mistica dell’autorità per quanto riguarda l’ambito temporale.
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