Castel di Badia, antropologia di un popolo ribelle

Print Friendly, PDF & Email

Immagine

di Antonio Pacini

Con gli uomini di Castel Di Badia si devono usare parole blande e buone, e mantenere scrupolosamente le fatte promesse, perché sono sagaci e sottili” (Papa Gregorio IX)

La gente di questo nostro paese non è mai stata tanto normale, si è sempre distinta sia nel bene che nel male e in vari campi. Il carattere degli abbadenghi è molto particolare, un tempo persino proverbiale per via dell’estrema caparbietà che li caratterizzava (coniata con il nome di tigna badenga); brusco e diffidente ma anche molto sincero e generoso nei confronti di chi se lo merita. Nella storia siamo sempre stati soggetti a poteri grandi che ci hanno fatto tribolare. Eppure non ci siamo mai piegati senza una tenace resistenza alle ingiustizie che venivano compiute a danni nostri. Non abbiamo mai accettato senza reagire i voleri che cadevano dall’alto e la sorte che altri avrebbero voluto per noi.

Nonostante la prepotenza dei soggetti con cui è stato necessario convivere abbiamo mantenuto fierezza e soprattutto unità di popolo nei momenti più difficili. Sono forse la lunga e ostinata resistenza ai più potenti, l’astuzia di trovare le scappatoie per far ritornare le cose a proprio vantaggio o la giusta diffidenza nei confronti delle promesse fatte, non accettando mai pacificamente il loro mancato rispetto, che ci ha resi famosi come popolo ribelle, “tignoso” per antonomasia. Il carattere della gente di questo paese ha avuto anche aspetti talvolta disdicevoli, altre volte necessari tipo l’irascibilità, servita come difesa e avvertimento ma utilizzata anche in occasioni che si potevano risolvere in maniere forse più civili. Diventare un comune indipendente non è stato facile ed il carattere duro è stato fondamentale per ottenere questa vittoria.

Agli inizi del 1200 cominciarono a intensificarsi i malumori fra gli abitanti del castello dell’Abbadia e il monastero fino a sfociare in vere e proprie sommosse. L’abate Rolando fu costretto a scendere a patti con il popolo ribelle già pronto all’occupazione armata del monastero. Fu così che il 14 luglio del 1212 entrò in vigore il pregiato costituto del Comune il quale pose fine alle vessatorie disposizioni fiscali e agli enormi privilegi del monastero ai danni del popolo. Il costituto badengo fu cronologicamente il terzo della Toscana e uno dei primi d’Italia ma soprattutto rappresentò una conquista per il diritto perché esso spazzò via i resti della legge longobarda facendo intravedere i primi bagliori dei tempi moderni.

Il popolo del Castello intorno all’abbazia anche in quel frangente si seppe distinguere: fu esigente e coraggioso, incapace di accontentarsi di una costituzione voluta dall’abate come invece accettarono tutte le altre timorate popolazioni soggette all’abbazia. Certo, l’Abbazia era ancora molto potente ma ora si trovava a fare i conti con un Castel Di Badia sempre più affermato (anche agli occhi di Siena) e indipendente con cui forse sarebbe stata costretta a trattare per ottenere la protezione di cui aveva bisogno. Pochi anni dopo la nascita del nostro comune, esattamente nel 1229, Papa Gregorio IX decise di sostituire l’ordine benedettino del monastero con quello cistercense. Nel farlo sentì il bisogno di raccomandarsi in una lettera con il nuovo abate di essere attento nelle sue azioni perché gli uomini di Castel Di Badia erano sagaci ed estremamente intolleranti al mancato mantenimento delle promesse.

Alla fine dello stesso secolo gli abbadenghi tornarono ancora a farsi sentire e a minacciare rivolte ottenendo dall’abate cistercense la parte alta della montagna – ricoperta dai faggi – dove poterono procurarsi, finalmente quasi liberi da vincoli, il materiale necessario al proprio sostentamento. Benché la faggeta non fosse considerata così essenziale dal monastero rappresenta tuttavia un ulteriore esempio di come quel popolo doveva essere accontentato per evitare rivolte e situazioni svantaggiose. Nel 1313 l’abbazia acquistò le reliquie di San Marco Papa dai monaci di Fonte Avellana adottando tale santo come patrono della chiesa, in sostituzione di San Michele Arcangelo, ma gli abbadenghi non ci stettero e rivendicarono con forza la propria autonomia.

Ne seguì un grosso clamore che fece ravvivare il culto mai sopito per la figura di San Giovanni Battista “il Decollato” che da allora diventò il nuovo patrono del paese, rimasto tale fino a tempi recentissimi (anche se in molti non lo sanno), mentre S. Marco fu adottato solo dall’abbazia che non era riuscita ad imporre la sua autorità riportando così una sconfitta. Nei secoli successivi ci furono altri eventi tumultuosi di minore rilievo storico come ad esempio la battaglia contro i pianesi nei pressi di “Castel della Pertica”, naturalmente vinta dai badenghi che costrinsero gli avversari alla fuga. Un fatto che invece assunse una certa rilevanza avvenne verso la fine del XV secolo quando cospicue orde di briganti cominciarono a fare razzie delle carovane e dentro ai piccoli paesi della bassa Toscana e alto Lazio per poi portare i bottini al sicuro tra gli impenetrabili boschi del Monte Amiata.

La Val d’Orcia e la Val di Paglia erano diventate ormai impraticabili se non col rischio per chi vi passava di venire derubati e uccisi. Tanto il papa che Firenze accusarono della situazione la Repubblica di Siena la quale riversò la colpa interamente sul monastero del Santissimo Salvatore in quanto dette terre si trovavano nella sua proprietà. L’abbazia si doveva preparare a pesantissimi risarcimenti se non fosse riuscita a mettere termine alla situazione in tempi più che stretti. Per assecondare e acquistare merito agli occhi della Santa Sede, la Repubblica di Siena decise di mandare sul posto un buon numero di soldati che, inaspettatamente, furono sorpresi dai briganti ed uccisi senza pietà.

A questo punto per il monastero le cose cominciarono a mettersi davvero male quando si fece avanti all’abate un monaco, tale Federico, che col suo consenso radunò i giovani più forti del castello dell’Abbadia e partì alla ricerca dei briganti. I giovani badenghi trovarono i malfattori nei pressi de “Le Briccole”, li sorpresero in un’imboscata e li fecero letteralmente a pezzi risparmiandoli solo due, i quali, dopo avergli mostrato l’enorme bottino di tutte le scorribande, furono impiccati. Da allora per un po’ di tempo il tratto di strada in questione fu considerato sicuro e tranquillo mentre l’abbazia non fu soggetta a nessuna pesante sanzione o risarcimento danni.

Non moltissimi anni dopo tale cruento episodio, agli inizi del XVI secolo, il Duca di Valentino della dinastia dei Borgia, animato dalla sete di conquista inviò un esercito di lanzichenecchi ad invadere le terre Senesi. La terribile orda devastò interi paesi tra cui Acquapendente per poi risalire le pendici dell’Amiata invadendo e depredando completamente anche Piancastagnaio già semideserto perché i suoi abitanti erano scappati nei boschi. Gli abbadenghi invece preferirono rimanere tutti quanti uniti dentro alle loro mura a difesa dei beni e delle persone più deboli. L’orda per fortuna preferì deviare verso Radicofani ma fu raggiunta da una furia di gente di Abbadia (ai quali si erano uniti alcuni uomini del Conte Sforza) che l’assalì con coraggio uccidendo la maggior parte dei lanzichenecchi.

Anche questa volta, invece che scappare si preferì prepararsi alla lotta ed il risultato fu che il nostro paese non subì alcun danno a differenza di tutti gli altri. L’episodio è stato ricordato, fra gli altri, da Giovanni Volpini che nel suo libro “Abbadia San Salvatore, storia del monastero e del paese” scrisse parole di elogio al popolo di Abbadia San Salvatore:

Gloria a voi, o Abatinghi, che, come l’antico Camillo, sapeste comprare la vostra libertà con il ferro e non colla fuga e col denaro“.

Dopo qualche secolo, nel 1783, arrivò la soppressione Leopoldina ma anche in quel caso, malgrado la grave sciagura che si abbatté sul paese e la sua gente, si riuscì a spuntarla con astuzia e unità di popolo salvando almeno la faggeta conquistata secoli prima e ormai parte inscindibile della vita e della cultura. Fu in quella situazione che si costituì la gloriosa Società Macchia Faggeta. Purtroppo la soppressione leopoldina segnò la fine di un’epoca lasciandoci impoveriti della millenaria cultura legata, nel bene e nel male, al monastero e ai suoi tesori. La chiusura del monastero e la confisca dei suoi preziosissimi beni fu una disfatta che ci fece sentire, forse per la prima volta, veramente impotenti e che incrinò quell’antico carattere che ora appariva sempre meno fiero.

Da quel momento l’orgoglio e il senso di appartenenza al paese andò scemando. Da quello sciagurato 1783 ci sono comunque stati altri episodi di ribellione ma anche di inutile e assurda violenza. Il 15 agosto del 1920 un gruppo di un movimento socialista uccise sei persone in una processione religiosa; tale fatto è quasi sconosciuto, è stato volutamente oscurato forse perché ad uccidere furono persone che si ispiravano a Lenin e quindi per motivi politici si è preferito tacere. L’ultimo sussulto di ribellione da ricordare fu la rivolta scoppiata nel nostro paese a seguito dell’attentato a Togliatti. Abbadia diventò famosa, oltre che per la tragica uccisione del maresciallo Ranieri e della guardia scelta Battista Carloni, anche per la resistenza e la lunga, durissima repressione subita. Il clima era teso, gli uomini e le donne di Abbadia si sentivano sfruttati e oppressi come è sempre avvenuto nella loro storia, ma questa volta al posto del monastero c’erano altri padroni.

Fu forse l’ultimo sussulto d’orgoglio di Abbadia San Salvatore. C’era un clima teso e molta rabbia; l’attentato a Togliatti fu la scintilla scatenante che portò alla brutale rivolta. Una volta desti e dopo la repressione ci si accorse di essere isolati, di averci creduto forse più degli altri senza capire di non avere nessuna speranza di riscatto. Tutto ciò ha lasciato i suoi strascichi nella storia modificando ulteriormente il nostro carattere collettivo dove è comparso un rilevante senso di inadeguatezza e di rassegnazione nei nostri tratti comportamentali. Questi sono i principali eventi tumultuosi della storia del nostro paese. Molti sono assolutamente riprovevoli ma tutti andrebbero indagati nelle loro sfaccettature perché hanno contribuito a portarci ad essere ciò che siamo. Acquisendo nuovi elementi sulla conoscenza del passato possiamo tentare di curare i nostri traumi e ritrovare l’orgoglio perduto di appartenere al paese di Abbadia San Salvatore.

@AntonioPacini3

Alcuni testi sono tratti dal volume “Gente badenga”, Nardini

Articoli correlatiCercasi Hamman disperatamente - Emozioni e nostalgia per la pagina fb del “vero badengo” - Giovani d’Abbadia, una risorsa da tenere in considerazione - Abbadia, archeologia e sviluppo del territorio - Del perché l’Amiata merita l’Unesco (parte III)

Copertina: Michelangelo Buonarroti, particolare della Sacra Famiglia, databile al 1506-1508 circa, Galleria degli Uffizi a Firenze.

Lascia un commento

XHTML: Puoi usare questi tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>