A tu per tu con il clarinettista Pierpaolo Romani: «Vivere delle proprie passioni è qualcosa di straordinario»
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di Antonio Pacini
“la musica è qualcosa per cui vale la pena vivere; e vivere di musica, vivere delle proprie passioni, è qualcosa di straordinariamente bello”
Ci troviamo in compagnia di Pierpaolo Romani. Un musicista partito da quello speciale fermento musicale e artistico che contraddistingue Abbadia. Adesso, nonostante la sua giovane età, Pierpaolo si trova ad aver fatto molta strada esibendosi sia come solista che in prestigiose orchestre. Clarinettista degli “Inventionis Mater”, duo che ha il pregio di aver “tradotto” il grande Frank Zappa “alla necessità dell’essenziale”. Ci parla della sua esperienza artistica e dell’ultimo album: Kong’s Revenge.
Quando hai iniziato a suonare e quando hai capito che sarebbe diventato il tuo mestiere?
Iniziai a suonare il pianoforte a 6 anni, mentre il clarinetto a 9 anni. Da sempre, in casa mia, si respira aria di musica, con mio padre grande appassionato, sia come ascoltatore, che come polistrumentista (strumenti a tastiera e corno francese). L’esperienza all’interno della Filarmonica Giacomo Puccini di Abbadia mi ha spinto senz’altro a prediligere il clarinetto al pianoforte. Il momento in cui ho pensato di lavorare con la musica, a pensarci bene, è stato quando avevo circa 12 anni, quando il mio maestro di allora, Daniele Belloni, ci disse a lezione: “lavorare con la musica è difficile, quasi impossibile. Mi raccomando, studiate anche altro!“. La sfida “quasi impossibile” mi piacque, così pensai che un giorno avrei voluto cominciare a lavorare con la musica. Ciononostante, ho dato retta anche alla seconda parte del consiglio e mi sono iscritto all’università.
Sono necessarie tante ore di studio per arrivare e mantenersi a un certo livello. Quanto ti eserciti giornalmente? Hai dovuto fare sacrifici?
Le ore di studio dipendono da cosa dobbiamo preparare e con quale rapidità. Con gli anni, più che sulle ore di studio ho realizzato che conta molto di più la qualità di studio e che, anche quando al posto dello strumento abbiamo un fido bicchiere di vino in mano, è possibile pensare alla musica e studiare. Comunque, per raggiungere certi obiettivi, preparare certi concorsi, occorre stare sempre sul pezzo, passare sullo strumento 5-6 ore al giorno tutti i giorni e sì, fare anche qualche sacrificio rinunciando a un po’ di uscite con gli amici, stravizi (soprattutto notturni) e via discorrendo. Tuttavia, sono tutte cose che si fanno volentieri e senza peso quando c’è la passione per ciò che si fa.
Raccontaci in poche battute il tuo ultimo album.
E’ un disco su musiche di Frank Zappa prodotto e registrato insieme all’amico chitarrista Andrea Pennati. Più bello di suonare insieme è suonare insieme a un amico vero. Penso che ciò si senta molto sia nei nostri concerti che in quest’ultimo album Kong’s Revenge! degli Inventionis Mater. Più che parlarne, preferisco consigliarne l’ascolto: oltre che in vendita è disponibile anche in streaming nei maggiori canali web quali Spotify, Soundcloud, iTunes, Youtube (non tutte le tracce), ecc…
Per essere un musicista in che misura conta il talento e in che misura l’esercizio?
Riprendendo lo splendido libro di Antonello Farulli La viola del pensiero, il talento è più un mito che una realtà dei fatti. Ci sono persone che hanno grande facilità a fare certe cose, ma ovviamente hanno molte difficoltà a farne altre. Soltanto con il lavoro attento e costante ci si può realmente migliorare e raggiungere certi livelli. Lo vedo di continuo anche sui miei allievi: quando si lavora in un certo modo anche quelli che nel gergo si direbbero “negati per la musica” ottengono risultati ottimi come quelli “baciati dal dono del talento”.
Chi sono i musicisti che maggiormente ti hanno influenzato?
Da bambino non so quante volte ho visto Fantasia. In particolare ero incantato dagli spezzoni con i dinosauri e da quello con i mostri sulla montagna nella notte spettrale, ovvero dalla Sagra della Primavera di Stravinsky e da Una notte sul Monte Calvo di Mussorgskij. Sono autori che adoro e che mi hanno aperto le porte verso tanta altra musica, in particolare Stravinsky e la sua deriva poliritmica a me e ai prog-rocker tanto cara. Evitando di fare un inutile elenco della spesa cito soltanto l’altra mia divinità personale: Frank Zappa.
Cosa ti dà maggiore soddisfazione nella musica?
La sensazione di quando ti trovi sul palco, attacchi il primo suono, rompi il ghiaccio. E da lì lo spettacolo ha inizio e ti metti a nudo, cominci a comunicare tutto te stesso attraverso l’arte. Se poi il pubblico percepisce il piacere che stai provando mentre suoni, si crea veramente qualcosa di magico, indescrivibile e ogni volta sempre nuovo.
Ad Abbadia c’è un numero sorprendente di musicisti ma anche appassionati, intenditori e strimpellatori. Qual è il motivo?
Probabilmente dovremmo partire dalla fondazione della nostra banda musicale che risale a prima dell’Unità d’Italia. Difatti non è un caso che ad Abbadia i diplomati in conservatorio (e sono tanti) sono quasi tutti strumentisti a fiato e percussioni. Vivendo anche altre realtà musicali nelle zone attorno all’Amiata si sente la gente parlare di Abbadia come un punto di riferimento per la musica. Di preciso non so a cosa sia dovuta questa attenzione per la musica che ci coinvolge così tanto e a vari livelli. Detto ciò mi auguro non solo che continui a persistere questa passione, ma che si sviluppi maggiormente nei prossimi anni.
Che consigli ti senti di dare a un giovane promettente che aspira a intraprendere la carriera musicale?
Probabilmente gli direi ciò che mi disse Daniele Belloni quando andavo a lezione da lui. In più aggiungerei che la musica è qualcosa per cui vale la pena vivere e che vivere di musica, vivere delle proprie passioni, è qualcosa di straordinariamente bello. Quindi, non perda tempo e, sempre citando i buoni consigli dell’amico Daniele, gli direi: “mettiti a studiare come un serpe frustone”.
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Foto: Pierpaolo Romani (a sinistra)