A proposito di sinodo; divisioni, Salvezza e disciplina
di Giovanni Fabbrini
Parlando di sinodo abbiamo visto l’importanza di una divisione nella Chiesa, quella tra progressisti e conservatori. Una seconda divisione, di cui si parla meno, è quella tra chi crede alla salvezza tramite le opere e chi crede alla salvezza mediante la fede. Come nel caso della destra e della sinistra della Chiesa, evidentemente, le sfumature sono ampie e non ha senso pensare che la ragione stia da una parte. Anzi. Possiamo dire che queste fratture – ci auguriamo non scismatiche – rappresentano delle sfaccettature di un’unica verità: la Verità in Cristo.
Cominciamo col dire che il campo del discorso va sgomberato da un istinto umano, quello per cui “la fatica e la negazione pagano sempre”. Conoscere la legge mosaica e applicarla non è infatti garanzia di salvezza. La critica cristiana al fariseismo e la lettera di San Paolo ai Galati stanno a testimoniare questo. Senza considerare le persone di religione ebraica, all’interno della cristianità stessa si hanno per così dire correnti che sembrano mettere al primo posto la disciplina, evidentemente costoro sarebbero gli eredi spirituali degli ebrei cristiani del tempo di Paolo, che davano oltretutto alla circoncisione un ruolo imprescindibile per far parte di quella che consideravano la “vera cristianità”, guardando dall’alto verso il basso i gentili.
Credere di potersi salvare mediante la sola disciplina evidentemente va contro tutto il nuovo testamento, tuttavia sopravvive un istinto umano che fa pensare che il vero banco di prova per un fedele sia la disciplina in quanto faticosa e “non da tutti”. La stessa parola “fedele” indica però a ben guardare il vero banco di prova. La legge è anzi uno strumento pericoloso se ci se ne appropria con spirito orgoglioso; poiché i laici hanno grazie a essa la possibilità di organizzarsi una propria spiritualità, che supervisionano intellettualmente, relegando il prete a una sorta di “distributore di sacramenti”.
A questo eccesso normativista dal sapore anticlericale si contrappone un eccesso forse più frequente tra le classi popolari, che conduce alla convinzione di salvarsi tramite la fede, spesso più ostentata che altro, tralasciando la disciplina e mettendo sopra un po’ di clericalismo buonista e accomodaticcio per sanare le cose. Lo spirito qui, in questo secondo caso, non è quello della Lettera ai Galati ma quello dei servi della gleba che nel medio evo lavoravano i terreni delle parrocchie e dei feudi vescovili.
Mutati mutandi vediamo come oggi sopravviva l’idea di farsi trovare il lavoro e la casa dal prete, farsi vedere presenti in parrocchia, mostrarsi poveri davanti alla Chiesa, compiacendo il clero che per un motivo o per un altro povero non è e alla fine aiuta sempre chi si sottomette socialmente. La speranza è quindi quella che San Paolo ci aiuti a vivere una fede piena che ha come conseguenza il rispetto dei comandamenti.
Articoli correlati: Dignitatis Humanae. Dio; la natura, il complicato rapporto uomo-ambiente - Tempo di Sinodo, torna il Vaticanista a sfidare il fumo di Satana - Giovanni Lindo Ferretti: «Ho visto Ratzinger, ammiro Bergoglio»
Video correlato: