A proposito di Gaber
—lP—
di Antonio Pacini
Sono diverso perché quando è merda è merda, non ha importanza la specificazione (G.G. “Quando è moda è moda”)
E’ un classico. Come succede per i grandi, ora che è passato un po’ di tempo dalla morte di Gaber – dodici anni – ci accorgiamo della mancanza. Tutti conoscono l’orecchiabile “Destra-Sinistra”, l’innocua “Barbera e Champagne” o “La Ballata del Cerutti” ma è difficile imbattersi nel Gaber di “Se ci fosse un uomo”, “La parola io”, “Il tutto è falso”, “I mostri che abbiamo dentro”, “Quando è moda è moda” e tante altre così lucide che non sembrano nemmeno scritte da uno “ancora invischiato nei vostri sfaceli”. Taluni non ci potevano credere all’epoca nel vedere uno dei volti più noti e apprezzati della televisione italiana, all’apice del successo, andarsene dagli schermi per rinchiudersi negli sconosciuti e invisibili teatri, solo per avere un rapporto vero con il pubblico senza limitazioni e mediazioni imposte. Per molti è rimasto un mistero, non riuscivano proprio a concepire simile scelta con tutti gli “svantaggi” che portava. E’ il segno ancora una volta di un uomo diverso e raro che in quest’epoca così confusa e allo sbando ha il coraggio di fermarsi e continuare a pensare, mantenendo vivo un dialogo interiore senza farsi inghiottire dal bisogno morboso di rincorrere sempre qualcosa.
Anche per questo uno così, un po’ come De André, risulta spesso fastidioso. Invece tanta gente che riempiva i teatri per andarlo a vedere, quando usciva stava meglio perché venivano sciolti e portati all’attenzione aspetti di noi stessi – e del mondo in cui viviamo – che non vogliamo vedere e magari ci fanno male, ma se vengono ignorati ci portano al peggio. Così iniziava una specie di riflessione che faceva scollare la maschera di brave persone che ci portiamo sempre addosso. Erano due ore di spettacolo terapeutiche. Va detto, anche se è sottinteso, che quando si parla di “Teatro Canzone” si parla anche di Sandro Luporini, coautore e uomo disinteressato ad apparire ma senza il quale non poteva compiersi una combinazione così geniale. Le parole riecheggiate in luoghi così lontani dall’attenzione della massa, in realtà sono fotografie impressionanti di ciò che stiamo vivendo e diventando col passare degli anni e che bisognerebbe portare nelle scuole italiane da quanto sono educative. L’ultima canzone dell’ultimo album dell’artista si intitola “Se ci fosse un uomo” e parla di come sarebbe il mondo se popolato realmente da una figura del genere. Per noi il prototipo di quell’”umanesimo nuovo” è proprio lui; sarebbe una strada meno disperata, la nostra, se dentro ognuno di noi ci fosse un po’ di Gaber. Più passa il tempo e più le canzoni diventano attuali, certe volte sembrano profetiche. “E tu mi vieni a dire, quasi gridando che non c’è più salvezza, sta sprofondando il mondo”? Però alla fine della canzone aggiungeva: “Ma io ti voglio dire che non è mai finita, che tutto quel che accade fa parte della vita”.
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