Fallimento Floramiata: lettera aperta di Rappuoli (Pd) a sindacati e partiti

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Riceviamo e pubblichiamo

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di Paolo Rappuoli

Abbadia San Salvatore. È un po’ che ci penso, ma il fallimento di Floramiata è la classica goccia che fa traboccare il vaso: questo mondo in cui sono nato e vivo, nel sud della Toscana, alle pendici di un monte, bello e duro come tutti i monti, fa parte della Regione Toscana? Non voglio certo addossare la responsabilità di ogni difficoltà alla Regione o a Rossi, anzi so bene che in più di un’occasione sono stati il riferimento vero e importante. E proprio per questo però penso che non possiamo che indirizzare lì un grido di dolore che diventa ogni giorno più drammatico. E lo faccio da segretario comunale del Partito Democratico. Crisi aziendali e occupazionali Il fallimento di Floramiata è l’epilogo annunciato di una situazione che si è deteriorata nel tempo, che il tavolo di crisi regionale conosce bene, ma è anche la chiara fine di una progettazione, nazionale e regionale, che dagli anni ’80, con luci e tante ombre certamente, ha caratterizzato la riconversione industriale della zona. Non è azzardato affermare che il rischio è la deindustrializzazione. Basterebbe citare tutti i punti produttivi che hanno chiuso o che lo stanno facendo, le difficoltà di chi rimane ancora aperto; anche il settore della pelletteria non sembra crescere al ritmo degli anni scorsi. Complessivamente, con l’indotto, sono migliaia di posti di lavoro. Si dirà che è la crisi congiunturale: anche, ma cosa facciamo per contrastarla? Ogni crisi occupazionale ha poi un pesante risvolto sociale; nel caso di Floramiata, tanto più drammatico per l’assenza di ammortizzatori sociali, si va a casa senza lavoro e senza reddito, amen.

Crisi infrastrutturale

Quella più evidente è ovviamente legata alla mobilità; strade franate, semafori provvisori pressoché permanenti, ponti crollati, la Cassia interrotta. Ma si può tenere l’unica arteria che garantisce alla zona la viabilità di livello interregionale chiusa da un anno a questa parte? Gli stanziamenti regionali per affrontare l’emergenza sono stati prontamente messi a disposizione, ma è un anno che giriamo la palla tra un’amministrazione e l’altra! E fra poco sarà nuovamente inverno… Mi rifiuto di pensare che non ci possa essere un modo per garantirci quel minimo sindacale che ha chiunque altro in Toscana. Aggiungo, da segretario di Abbadia, le vicende legate alla bonifica della più grande miniera di cinabro del mondo che attendono, inutilmente di anno in anno, di decreto in decreto, di finanziaria in finanziaria, di essere liberate dal patto di stabilità, sia per svincolare risorse che in ultima analisi creerebbero sviluppo, sia per scongiurare definitivamente un potenziale inquinamento. Penso che non si possa più stare a guardare. Forse qualcuno troverà strano che lo dica il segretario del partito di maggioranza, ma questa è davvero una situazione non più sostenibile e garantisco che tutte le vie brevi, perlomeno quelle a mia disposizione, sono state percorse.

Di cosa abbiamo bisogno

Innanzi tutto di affrontare l’emergenza:

 attivare immediatamente il tavolo regionale di crisi per Floramiata in primis e comunque per ogni altra realtà in difficoltà;

 garantire una “misura sociale” per assicurare un minimo di reddito ai lavoratori sprovvisti di ammortizzatori sociali;

 riaprire immediatamente la SR Cassia.

Poi occorre velocizzare e semplificare le procedure per accogliere investimenti in campo turistico, servono risorse per la manutenzione e la sicurezza della montagna, a partire dalla forestazione. Infine serve un’idea nuova di sviluppo, fondata sulla valorizzazione delle risorse proprie di questo territorio, sulla qualità oltre che sulla quantità, sulla costruzione di un rapporto tra istituzioni, lavoratori, imprenditoria e mondo della ricerca. La gestione delle grandi crisi è stata spesso levatrice di innovazione e cambiamento. Il Progetto Amiata degli anni ‘80 (sotto la presidenza Bartolini) si pose l’obiettivo di rispondere a questa esigenza; aldilà del giudizio che ciascuno può dare sui risultati, lo spirito era questo ed era corretto e ambizioso. Oggi ci vorrebbe un “Progetto Amiata 2.0”.

Di cosa non abbiamo assolutamente bisogno

Di chi gioca da solo, di quanti pensano che in Amiata ci sia ancora un affare da realizzare, che sia il calore, acqua o qualunque altra risorsa di questo territorio.

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