L’albero, simbolo indissolubile di Abbadia San Salvatore

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di Antonio Pacini 

Abbadia San Salvatore. Tutto ebbe inizio da un albero. Come sappiamo l’evento scatenante della storia del monastero, e del paese, è partito dalle fronde di un abete dove apparve il Cristo Salvatore. Intorno a esso ci sarebbe stata costruita l’abbazia destinata a influenzare le sorti del medioevo, della lingua italiana, della religione e del diritto. E’ quello il punto geografico sacro di Abbadia, il vero centro di gravità attorno al quale si è sviluppato tutto, nel bene e nel male.

Non a caso l’albero del miracolo è lo stemma del Comune. Al tempo in cui il monastero era una potenza ma i badenghi non erano predisposti a farsi mettere i piedi in testa senza resistere, avvenne un fatto straordinario: costrinsero l’Abate a cedergli la parte alta della montagna ricoperta dai faggi, continuando così un cammino verso l’autonomia iniziato già nel 1212 con la redazione del “Costituto Badengo”. Era il 1292. Nell’atto notarile rogato in Callemala fu riportata la famosa frase: “Tota fagorum sylva, quae est super castanoarum”. La faggeta fu così conquistata. Fonte di sostentamento e calore domestico che sarebbe stata difesa con i denti nel 1783 quando un’altra potenza – il Granducato di Toscana – provò a sottrarla alla comunità. Fu in quell’anno che sorse la “Società Macchia Faggeta”, esempio vero di unità di popolo e difesa delle risorse dalle forze estranee e dannose. Il simbolo adottato – manco a dirlo – fu un albero, un faggio.

Oggi la faggeta dell’Amiata è considerata, non da tutti, un vero scrigno naturale essendo fra le più importanti e estese d’Europa. La vita a contatto con il bosco ha plasmato i badenghi portandoli ad avere un dialogo profondo con la montagna. Fino a quando l’equilibrio non si è inclinato col periodo minerario e l’avvento della modernità. Anche l’abbattimento del bosco un tempo veniva fatto con un atteggiamento di riconoscenza. L’altra pianta essenziale per la gente di qui è stata ovviamente il castagno che spesso ci ha salvato dalle carestie. Sotto l’ombra dei castagni veniva a camminare il Papa. Pio II nell’estate del 1462 paragonò l’Amiata al paradiso, al “soggiorno dei Beati” ed era solito ricevere gli ambasciatori o le grandi personalità dell’epoca ora sotto un secolare castagno e ora vicino a qualche ruscelletto. Esiste tutt’oggi un modesto monumento più volte spostato che riporta l’epigrafe: “Pio II, Pontefice Massimo, fuggendo gli ardori estivi di Roma, allettato dall’ombra dei castagni, qui dettava le sue costituzioni e riceveva gli ambasciatori, nell’anno del Signore 1462”.

Un paese fiorente che vuole il turismo si vede anche dalla cura che ha delle cose semplici e di certi simboli della sua storia. C’è un altro castagno molto importante nei trascorsi del paese, quello dove secondo la leggenda una pastorella in cerca di funghi trovò una meravigliosa immagine bizantina della Madonna. Siccome tutti passavano di lì e nessuno l’aveva mai vista, ciò bastò a costruire una cappella che sarebbe diventata dopo qualche secolo la magnifica chiesa della Madonna del Castagno. Una chiesa dalla facciata che è un gioiello rinascimentale ma anche sottovalutata e reduce di tanti rimaneggiamenti. Il peggiore fu quello voluto da un prete che fece costruire nel XVIII secolo l’altare barocco distruggendo le pareti affrescate per farcelo entrare e scalpellò altri dipinti per sostituirli con quadri di un imbrattatele qualsiasi. Secondo il Volpini gli affreschi, quasi totalmente perduti, appartenevano alla scuole del Ghirlandaio e del Perugino. Aldilà di chi fossero, questa è la dimostrazione che i cretini c’erano anche una volta, sempre pronti a barattare qualcosa di brutto fuori contesto a scapito delle opere d’arte primigenie di altissimo valore.

Anche in questo caso comunque la storia è cominciata da un albero. E che dire del Pero Picciòlo, sopravvissuto grazie alla necessità alimentare montana e all’attenzione dei nostri antenati che l’hanno propagato tramite innesto? Oggi il suo areale comprende esclusivamente il comune di Abbadia – sconfinando con un solo esemplare nel “poggio del Vivo”- e va ad aggiungere una testimonianza dell’incredibile ricchezza di diversità vegetale custodita dall’Amiata. Un Parco alberato a cui è stata riconosciuta una certa solennità è stato quello dove furono piantati i pini a memoria dei caduti della Prima Guerra Mondiale. Si chiamava “Parco delle rimembranze” la pineta recentemente scomparsa perché arrivata a maturazione. Forse a quest’ora l’avrebbero abbattuta anche i badenghi di una volta ma sicuramente considerandola per il valore che ha, che non è il prezzo dei tronchi.

Siccome “Il futuro ha un cuore antico” nel progettarlo bisogna pensare anche a non disperdere traccia di ciò che c’era; la sfida è riuscire a mantenere nel nuovo l’autenticità e l’identità di un posto, senza omologarsi troppo alle mode del momento (Madonna del Castagno docet). Per cancellare l’idea dilagante del bosco oscuro e pericoloso abbiamo bisogno che nelle scuole si torni a insegnare ciò che noi abbiamo trascurato: la storia e la cultura locali che sono fatti soprattutto del rapporto con la montagna. Chiamiamoli pure progetti di educazione ambientale ma diamoli lo spazio che si meritano. L’albero è dunque il simbolo più importante di Abbadia. E’ la forza di questo paese.

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