700 vittime o forse più; ennesima strage d’innocenti nel Canale di Sicilia

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—P— migranti-barcone

di Chiara de Franceschi

Abbadia San Salvatore. Una delle più grandi tragedie del mare quella accaduta il 19 aprile. L’ennesimo viaggio della speranza che finisce nel peggiore dei modi. Si parla di 700 vittime, forse più. Bilancio che sarà difficile confermare o smentire; magari non conosceremo mai il numero esatto di esseri umani stipati sul quel peschereccio che si è rovesciato, portando con sé in fondo al mare la vita di troppe persone. Scatta la solidarietà, scattano gli appelli, scattano i vertici di emergenza tra ministri e presidenti. E una soluzione continua a non esserci. Soluzione difficile da trovare. “Rimandiamoli indietro”, “chiudiamo le frontiere”, “impediamo le partenze”, “l’Unione Europea deve dare maggiore sostegno”; come spesso accade, tante parole, pochi  fatti.

Immigrati clandestini continuano ad arrivare. Le stime parlano di 36.000 nuovi sbarchi dall’inizio dell’anno. Critiche su tutti i fronti all’operazione Triton, guidata dall’Unione Europea con l’obietto di controllare le frontiere e che ha sostituito “Mare Nostrum” . Ma forse oggi non deve essere il giorno né degli attacchi, né delle soluzioni, né delle critiche. Forse oggi dovremmo soltanto fermarci un attimo. E pensare a quelle 700 persone cui probabilmente non riusciremo nemmeno a dare un nome, che rimarranno per sempre laggiù, insieme a tutte le loro speranze morte per sempre. Perché forse troppo spesso dimentichiamo che gli immigrati, i clandestini sono essere umani; nati però in paesi dilaniati da guerre e dittature, dove la libertà non esiste, dove donne e bambini vengono rapiti e gli uomini continuano la loro vita, nei limiti del possibile, senza sapere cosa ne è stato dei loro cari.

Persone che pagano cifre esorbitanti per compiere un viaggio della speranza, che si sottomettono allo strozzinaggio degli scafisti per cercare una vita migliore. O forse soltanto per sfuggire alla guerra, per smettere di svegliarsi la mattina con la paura di morire, senza sapere se quello sarà l’ultimo giorno della loro vita. Persone che non hanno niente da perdere, che arrivano a lasciare quel poco/niente per aspirare a qualcosa in più. Quanto può essere difficile prendere questa decisone? Tanti di noi non lo farebbero. Possiamo forse negare a chi sta male la possibilità di vivere meglio? Lasciando per un attimo da parte destra e sinistra, favorevoli o contrari all’immigrazione, possiamo davvero accettare come se niente fosse una tragedia come questa? E’ vero, materialmente possiamo fare ben poco. Ma possiamo imparare a rispettare quelle persone, le loro speranze,  loro ambizioni, i loro tentativi di cambiare vita. Che troppo spesso si concludono in tragedia. E sperare, con tutta la nostra forza, che ciò smetta di accadere.

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