Abbadia: torniamo a parlare di turismo

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—P—

di Antonio Pacini 

Nel guardarsi attorno passando per il paese si può essere colti da un senso di malinconia

Abbadia San Salvatore. Sarà colpa della crisi, ma assistere a negozi che chiudono, attività che si trasferiscono e vie sempre deserte fa capire a che punto è arrivato il nostro paese. Ma la crisi non è solo quella economica bensì quella d’identità. Cosa è successo? Bisognerebbe fare un’ analisi collettiva per tentare di capire i motivi del disfattismo, della mancanza di entusiasmo. Certo, succede da tutte le parti, ma da noi in maniera più accentuata. Una cosa che viene fatta altrove tendiamo a esaltarla, anche più del dovuto, ma se la stessa viene fatta qui talvolta la disprezziamo. Va osservato che questo è un paese diviso; sullo stesso tema ci sono spesso due gruppi, due associazioni, due scuole che si guardano storto così da disperdere forze e capacità. La competizione viene vista spesso come screditare l’altro, senza concentrarsi a migliorare se stessi, ma ovviamente non tutti sono così.

Perché siamo disuniti? Forse i motivi sono da ricercarsi nella storia e nei traumi che abbiamo subito in passato. I badenghi cominciarono a perdere la bussola quando fu soppressa l’abbazia e portati via i documenti, le pergamene, i simboli che avevano fatto grande la cultura di questo posto. Anche se il rapporto con il monastero è sempre stato burrascoso è grazie a esso se ci siamo temprati ed emancipati come popolo, arrivando addirittura a costituire uno dei primi statuti comunali della Toscana e d’Italia. Tutto ha sempre girato, nel bene e nel male, intorno a questo centro religioso. Solo che non ce lo ricordiamo o non lo sappiamo. Dopo la soppressione abbiamo cercato di reagire bene e uniti fondando l’allora meravigliosa Società Macchia Faggeta ma con l’avvento delle miniere siamo caduti nell’oblio più totale. La nostra storia sembra essersi azzerata e ripartita con il periodo minerario, come se quello che c’era prima fosse un sogno vago e così, se la miniera ha segnato quella che è stata chiamata la fortuna (malgrado i morti e la silicosi) è stata anche la disgrazia.

E’ stato un taglio netto col passato, un abbandono della montagna, dei campi e dei boschi, uno spopolamento del paese antico per decentrarci in quello moderno. Comunque di quel periodo vanno valutati gli aspetti positivi: la scuola di musica, il teatro e altri ambienti culturali furono voluti dalla società mineraria e tanti hanno comprato la casa al mare. Ora che la miniera è chiusa (da un pezzo) dobbiamo provare a guardarci intorno per re-orientarci domandandoci cosa vogliamo fare. Giusto ricordare il recente passato, quello dei nostri nonni che hanno fatto sacrifici disumani sotto terra rovinandosi la salute, quindi ben venga la prosperità del Museo Minerario e tutto il resto; ma va capito che quella è solo parte della storia, importante ma pur sempre parte.

La concentrazione, a partire dagli amministratori, deve tornare al fulcro di tutto che è il monastero con i suoi documenti, reliquie, simboli e il paese antico – oltreché la montagna e il bosco – per ripristinare il legame col passato. Erano buone le intenzioni che volevano fare di Abbadia il “Paese della Bibbia e delle Fiaccole”. Idea, quella della Città delle Fiaccole, che noi de La Postilla siamo orgogliosi di avere contribuito a promuovere. Comunque non si sa dove si sono persi tali propositi e perché una cosa semplice come quella di mettere un cartello all’ingresso del paese debba diventare così complicata. Basterebbe poco, pochissimo, una spesa minima – fra l’altro i fondi sono già stati destinati – per dare una connotazione distintiva al paese. Lo stesso vale per l’inspiegabile mancata installazione del pannello tematico volto alla valorizzazione della Grotta dell’Arciere – anche se sembrerebbe che qualcosa si stia muovendo- a cura dell’archeologo Niccolò Bisconti e dell’Università di Siena. Queste e altre sono le note distintive di Abbadia su cui bisogna lavorare. Il discorso continuerebbe con la Via Francigena dalla quale, checché se ne dica, siamo tagliati fuori nonostante la storia e l’attenzione di una vita dell’esperto locale Stelvio Mambrini e così via. A questo punto dobbiamo chiederci il perché di tanta immobilità.

La montagna – perché Abbadia deve identificarsi con l’insieme di cui fa parte – è carica di un’energia che non si sblocca. E’ un mistero che sia così dimenticata quando ha tutte le caratteristiche naturali, culturali e forse ancora umane per essere conosciuta e amata. Intanto però si può ripartire con piccoli segnali – di un certo valore – come installare i cartelli del sito protostorico dell’Arciere e quello di benvenuto nella “Città della Bibbia e delle Fiaccole”. Simboli che se fatti conoscere sono capaci di conferirci una nota distintiva e innescare da soli un nuovo interesse per Abbadia e per l’Amiata.

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Commenti

2 commenti a “Abbadia: torniamo a parlare di turismo”

  1. FabrizioC

    Abbazia, come l’Amiata, non è solo: Arte, Storia e Cultura, ma anche: Neve, Sport e Natura, senza dimenticare la Gastronomia. L’offerta è tanta e varia il problema parte dalla divisione in due provincie quindi il doppio dei politici che devono farsi la pagnotta… Poi aggiungici il fatto che le due provincie hanno poco da giovarsi della montagna essendo questa un piatto povero se paragonato al mare da una parte e la città dall’altra!

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