L’”estate dell’incontro” Considerazioni di Don Gianpaolo Riccardi sull’Oratorio Giulia Flori
di Ilaria Martini
Anche quest’anno dal 30 giugno all’8 agosto continuano le attività dell’oratorio parrocchiale, ormai diventato un’istituzione. Dopo ben dodici anni continua a richiamare sempre bambini e ragazzi, per un’estate all’insegna del gioco e dell’incontro. Ma quali sono i segreti di questo successo? Qual è la valenza spirituale e umana che quest’esperienza regala alla comunità? In esclusiva per Abbadia News parla Don Giampaolo Riccardi (che molti continuano per abitudine a chiamare Padre Amedeo), parroco dell’Abbazia del Santissimo Salvatore.
Come è nata l’idea dell’oratorio ad Abbadia?
L’oratorio era stato ideato da Don Roberto, ma poi purtroppo non andò avanti. Quando arrivai, nel 2003, vedendo gli spazi disponibili presso il santuario della Madonna del Castagno, realizzai che potevano essere adibiti per l’attività parrocchiale. Ci venne così l’idea di fondare l’oratorio, che nella tradizione della chiesa ha un lungo seguito e rappresenta metaforicamente il grembo materno della comunità. Dopo i primi anni, gli spazi e la struttura non risultarono più adeguati, ma grazie all’Otto per mille, alla Diocesi e alla Conferenza Episcopale Italiana, ricevemmo un lauto contributo per restaurare sia la casa canonica che i locali esterni. In un primo momento l’oratorio prese il nome di “Giovanni Paolo II, Sentinelle del mattino” poi, dopo la perdita della nostra amata Giulia Flori, fu intitolato a lei, che era stata una tra le prime animatrici. L’oratorio è un momento importante per la comunità: i bambini vengono formati non solo alla religione, a essere cristiani, ma anche a livello umano. Formazione umana e cristiana vanno di pari passo. I ragazzi hanno a disposizione un punto di incontro: un servizio che facciamo alle famiglie attraverso i loro figli.
Cosa pensi abbia introdotto nella comunità?
La comunità in questi anni è cambiata in positivo sotto un aspetto straordinariamente importate: le famiglie hanno imparato a fidarsi della parrocchia. Attraverso l’oratorio molte si sono avvicinate, è stato il volano per la nascita di tante nuove collaborazioni con catechisti, animatori liturgici e animatori parrocchiali. Fare oratorio significa prima di tutto incontrare la gente e far conoscere la chiesa sotto un altro aspetto. La parrocchia, da luogo di fruizione di sacramenti, si trasforma in occasione di incontro, amicizia e fiducia. La prima forma di carità cristiana è annunciare Gesù e noi lo facciamo attraverso il gioco e lo stare in allegria. Questa è l’evangelizzazione. La missione di portare il messaggio di Cristo alla gente, ma senza forzature, attraverso l’accoglienza reciproca. La nostra è una comunità serena, non ci sono litigi, né controversie particolari. All’inizio, come è normale che sia, c’è voluto un po’ di tempo per accettare l’impostazione del nuovo parroco, ma posso dire che il mio compito si svolge in completa serenità.
Qual è il segreto di un successo così continuativo negli anni?
Penso che la carta vincente dell’oratorio non sia tanto la partecipazione dei bambini piccoli, ma dei più grandi, gli adolescenti dai 14 ai 18 anni. Per i più piccoli sono i genitori a scegliere, anche se chiaramente tengono conto anche della volontà del bambino. Gli adolescenti invece scelgono l’oratorio in maniera autonoma: significa che hanno trovato un ambiente e delle persone che sanno accoglierli e valorizzarli, che sanno credere nella responsabilità di ciascuno di loro. Questa è la cosa più bella. Molti dei più grandi sono animatori, dai 14 ai 18 anni, alcuni anche di 20 anni e fino ai 26. C’è una continuità negli anni: hanno usufruito dell’oratorio e poi diventano animatori. Anche da parte dei bambini c’è una presenza costante, molti ci manifestano la voglia di tornare anno dopo anno. Altra carta vincente è la capacità di coinvolgere anche le famiglie, che spesso si fermano in oratorio assieme ai figli: ricorre il tema dell’incontro che dicevamo prima. Puntiamo insomma alla familiarità, al centro di aggregazione. Il numero di iscritti si è mantenuto più o meno stabile negli anni. Ma la quantità non è importante, è fondamentale che i ragazzi siano partecipativi. Sia parrocchia che le associazioni civili danno quest’opportunità, mettendosi a servizio di tutta la comunità, perciò non c’è rivalità tra la realtà dell’oratorio e quella dell’Eta Beta. Gli iscritti ad oggi sono circa 85, più una quindicina di animatori, arriviamo ad essere 100 persone presenti tutti i giorni in oratorio. Il numero, ripeto, è relativo, ma fa capire che tante famiglie si affidano e questo è l’importante.
Oratorio come momento di incontro quindi. Anche con coloro che non credono?
Oratorio è aperto a tutti, credenti e non. È capitato diverse volte che alcune famiglie, portando i loro figli in oratorio, abbiano chiesto espressamente di non farli partecipare alla preghiera. Alla fine però in quasi tutti i casi i bambini stessi, col tempo, hanno voluto partecipare e non perché obbligati, ma perché ne hanno sentito il desiderio, vedendo gli altri farlo. A volte la famiglia parte con un’idea, ma il bambino sceglie e noi rispettiamo la sua scelta. Altri bambini che sono venuti in oratorio non erano battezzati e alla fine i genitori hanno chiesto il battesimo o l’incontro col sacerdote per poter esprimere preoccupazioni e problemi familiari. È proprio questo il punto: un “lab-oratorio” dove la forte parte umana si incontra con la fede e poi matura con il tempo.
Quest’anno il Vescovo ha fatto visita all’oratorio. È la prima volta che accade?
Il precedente Vescovo Monsignor Cetoloni, conosceva molto bene la realtà dell’oratorio, l’aveva voluta fortemente e ha partecipato negli anni a diversi momenti di festa. Il nuovo Vescovo, Monsignor Manetti, ha visto nella nostra parrocchia una realtà viva e ha chiesto di venire in oratorio e incontrare ragazzi. È un vescovo dal dialogo costante e dalla vicinanza molto forte. È venuto una sera e ha incontrato gli animatori, in un incontro molto informale: semplicemente abbiamo mangiato la pizza insieme. I ragazzi gli hanno regalato la maglietta dell’oratorio con scritto “Zio Stefano” sopra. Lui ne è stato molto contento: ha parlato ricordando l’importanza dello stare insieme, che significa, diceva, crescere nell’amicizia e crescere nel Signore. Ha incoraggiato i ragazzi a continuare in questa attività.
Come si svolge una giornata tipica in oratorio?
Ogni anno diamo un tema all’oratorio estivo: quest’anno è la Madonna. Iniziamo la giornata con la preghiera e con lo spunto spirituale tratto dal Vangelo. Poi c’è il gioco comunitario che riprende il tema proposto. Dopo si sviluppano le attività, lasciate alla fantasia degli animatori, nel rispetto della libertà dei bambini. Questo è un punto importante per noi: durante l’anno i ragazzi sono impegnati in tantissime attività dalla scuola allo sport. Per questo durante l’anno diventa difficile l’aggregazione: abbiamo provato negli anni scorsi a prolungare l’oratorio anche in inverno, ma non ha avuto molto seguito, a causa della mancanza di tempo da parte dei bambini. D’estate invece possiamo donare loro pace e serenità e permettergli di trascorrere il tempo in modo diverso. Durante tutto l’anno hanno la giornata organizzata: il periodo estivo è invece il momento del relax. Il bambino diventa autosufficiente e si dimostra capace di organizzare il tempo e il gioco. Questa è una forma di educazione importate e i ragazzi hanno la possibilità di avere un proprio spazio e di esprimersi per ciò che veramente sono. E questo è un segno che rimane. L’oratorio si conclude sempre con una grande festa che coinvolge i bambini impegnandoli con recite e canti, ma anche famiglie con la cena a cui tutti sono invitati. È l’occasione per trascorre una serata in amicizia.
Articoli correlati: Intervista a Sua Eccellenza Mons. Stefano Manetti: «La forza dell’evangelizzazione è la preghiera» - Mons. Manetti in visita alla Parrocchia di Abbadia San Salvatore - Don Francesco, lo sventolio della tonaca e la nuova vita di Santa Croce