Salvatore Muzio: «Per uscire dalla crisi bisogna investire»
Nella prima parte dell’intervista a Damiano Romani, pubblicata lo scorso 29 Maggio, veniva affrontato il tema dell’economia regionale e della crescita. Quando finirà l’attuale fase recessiva? Rispondiamo a questo interrogativo tramite il contributo di Salvatore Muzio, giovane amministratore della Muzio Consulting, società fiorentina di consulenza per le Piccole e Medie Imprese. Salvatore illustra la sua visione in esclusiva per lettori di Abbadia News.
di Salvatore Muzio
La complessità della situazione economica mette in evidenza un sistema in difficoltà che molti oggi conoscono, ma che ha cercato di assorbire nel migliore dei modi gli effetti di una delle più gravi crisi della sua storia; è però altrettanto evidente che la capacità di tenuta del sistema economico del Paese, messo a dura prova nell’ultima quinquennio è prossima ad esaurirsi se l’economia non tornerà rapidamente a crescere.
Purtroppo la fine della fase recessiva è, secondo alcune previsioni, rimandata all’ultimo trimestre del 2014. E’ di fondamentale rilevanza notare come la flessione di alcune componenti, relative alla domanda aggregata interna, continuino ad incidere sulla sensibilità degli investimenti rispetto alla variazione positiva “attesa” del livello produttivo italiano. Spesso ci si dimentica che in condizioni straordinarie come queste, le leve principali sulle quali agire, sono appunto, gli investimenti.
La funzione obiettivo degli investimenti non è solo di carattere economico ma anche e soprattutto sociale, poiché contribuisce a regolare gli squilibri del settore reale creando discontinuità e coerenza con le politiche di trasmissione monetaria, meccanismi da definire per una corretta redistribuzione delle risorse.
Pertanto, è bene riconoscere che ciò rende la fase di transizione in atto un’opportunità unica nella sua conformazione, che per sua natura dovrebbe stimolare lo scenario esogeno nazionale fortemente connesso alla domanda mondiale, ai tassi di cambio, agli interscambi commerciali, ma soprattutto in vista del semestre italiano europeo, le scelte e gli indirizzi di politica economica, saranno fondamentali per garantire un efficiente riposizionamento della piattaforma produttiva e industriale del nostro Paese e dell’intera Europa.
Le attese attuali sono per un 2014 che dovrebbe rappresentare un momento di transizione tra la fine della fase recessiva e l’inizio di una nuova fase di crescita che, seppur in modo contenuto, si dovrebbe manifestare pienamente a partire dal 2015. Tuttavia, le previsioni avanzate da autorevoli economisti e da organizzazioni internazionali, inducono a pensare che la via maestra da seguire per riportare l’Italia a livelli competitivi accettabili sia la ristrutturazione delle economie regionali, che in alcune aree del Paese si sta manifestando sotto forma di un profondo cambiamento strutturale e socio-culturale, modificando le regole di comportamento di buona parte degli operatori economici con ricadute positive su tutti i livelli della società.
Questi margini di manovra devono essere quindi rafforzati e attuati coraggiosamente in tempi brevi, altrimenti il rischio, oggi, è di logorare le aspettative dei cittadini. Le attese degli individui si sono, infatti, progressivamente orientate verso la consapevolezza che i problemi che hanno caratterizzato gli ultimi anni dureranno anche nei prossimi. Ma non è cosi, poiché non sono le debolezze strutturali a creare preoccupazione, bensì la classe dirigente non più funzionante in un contesto di mercato ormai evoluto e con criticità globali. Quindi, spetta alla classe dirigente muovere i primi passi verso la giusta direzione. Insomma dare un ragionevole esempio, in cui le forze economiche messe a sistema per il bene dello stesso sistema, convergano verso un modello economico basato sulla sostenibilità del progresso e del benessere, sul valore morale e sulla responsabilità sociale. Queste sono le condizioni primarie per creare posti di lavoro e ridare fiducia e speranza alle generazioni future. Quindi, spingere il capitale verso una dimensione in cui si possa creare ricchezza per i cittadini e non ricchezza immateriale.
Mi pare evidente che oggi più che mai a soffrire sono le Piccole e Medie Imprese, che dopo una lunga fase di resilienza, stanno ancora contraendo la propria domanda di lavoro riducendo i posti occupabili nel processo produttivo, a fronte di prospettive di mercato che stentano a ripartire e di una situazione che resta critica sia in termini di accesso al credito che di gestione della liquidità. Ma non sono solo gli unici problemi da affrontare. I nodi veri e non più procrastinabili, restano: la lotta all’economia sommersa (oggi al 21,1%), la riforma del sistema fiscale (il più elevato d’Europa), la riforma della giustizia civile e il ridimensionamento in un ottica di efficienza della Pubblica Amministrazione.
Tutti questi fattori, se non attuati, oltre a recare un danno di immagine al Paese, continueranno ad allontanare potenziali investitori.
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Foto: Salvatore Muzio